Il primo maggio a casa mia è il giorno del compleanno di mia moglie. Ma dal 1994 è anche il giorno di Ayrton. Sono trascorsi 24 anni da un giorno che non scomparirà mai dalla mia memoria. Quel primo maggio ero a Imola, così come il 30 aprile, il 29 e anche il 28. Il 30 piansi per Ratzenberger anche se non ci avevo mai parlato. Il 29 tremai per Barrichello che già noi italiani avevamo cominciato a conoscere e ad apprezzare. Il 28 incontrai Ayrton che arrivava dal Veneto dopo aver presentato una bicicletta che avrebbe portato il suo nome, il suo logo. Come sempre era stato gentile anche se era di corsa. Era uno dei gran premi italiani e lui si fermava sempre a parlare con noi. Non era mai banale. Non era mai scontato. Anche le parole erano la sua forza.
Quel 1994 non era cominciato come credeva lui e credevamo un po’ tutti noi… Doveva vincere tutto con la Williams, invece le prime due gare della stagione, nonostante le sue pole, erano state conquistate dal giovane Schumacher con la Benetton. Ayrton era preoccupato. Vedeva il campionato sfuggirgli. Sospettava qualche irregolarità nella Benetton. Ma aveva fiducia nella Williams, in sir Frank, in Patrick Head e nel lavoro che stavano facendo per migliorare la sua monoposto. Lavoro che comprendeva il piantone dello sterzo, da rendere meno ingombrante per permettergli di stare più comodo con le gambe all’interno dell’abitacolo.
Come è andata a finire posso anche evitare di raccontarvelo un’altra volta. In questo 24esimo anniversario della sua morte preferirei capire che cosa ci resta della sua eredità. Per fortuna ha vissuto in un’epoca in cui le immagini televisive erano di buona qualità e le gare già riprese e trasmesse in toto. Resta insomma traccia della sua grandezza sportiva su YouTube un mezzo fondamentale perché i ragazzi di oggi lo possano ammirare. L’album dei record ormai non lo vede più primeggiare in nessuna categoria dopo che Hamilton gli ha portato via anche il primato delle Pole position.
Ayrton però resta un termine di paragone per tutti. Resta un pilota che riusciva ad andare oltre la sua monoposto, a vincere anche con auto inferiori. Era feroce in qualifica, spietato in gara, nei doppiaggi e nei sorpassi (senza Drs). Era politicamente scorrettissimo, sempre in guerra con la a FIA, gli avversari e spesso anche i suoi compagni. E quando parlava faceva viaggiare le parole come le sue auto. Sapeva calamitare l’attenzione, gli piaceva stare al centro e ogni tanto esagerava pure un po’. Ma trovatemi un campione che non sia esagerato…
Per me è stato il pilota del cuore, mentre Schumacher è sempre stato quello dei numeri. Il destino non li ha lasciati invecchiare. E il vuoto che hanno creato andandosene così presto non verrà mai colmato. “È veloce come Senna”, resterà un termine di paragone per sempre.
