Quella notte c’era una nebbia che permetteva di vedere solo le luci della fabbrica ancora accese. Nel 1995 la Ferrari era molto diversa da quella di oggi, ma quando la notte tra il 15 e il 16 novembre Michael Schumacher arrivò a Maranello rimase comunque a bocca aperta.
Non aveva mai visto qualcosa di simile in Formula 1. Era stato alla Jordan, alla Benetton. In Ferrrai entrava in un mondo nuovo, entrava nella storia.
Aveva appena vinto il suo secondo Mondiale con la Benetton, ma in Ferrari avevano trovato un accordo per portarlo subito a Maranello anche se i primi test sarebbero stati con tuta bianca e casco senza sponsor. Un accordo di reciprocità con la Benetton che aveva ingaggiato Alesi e Berger con uno di quei colpi di teatro alla Briatore.
Il 16 novembre la Ferrari presentò sia Schumacher che Eddie Irvine. La squadra del futuro. La piccola rivoluzione pensata da Montezemolo e Todt. C’era fretta di entrare nella nuova era perchè in quella stagione si sarebbe passati dal motore a 12 cilindri al 10.
Così quel giorno aggrappati alla reti c’erano più di duemila tifosi, una resa che da quelle parti non si vedeva dai tempi di Gilles.
Schumi andò in pista a Fiorano con una vecchia 412T2 su cui era stato installato il 10 cilindri, dopo aver provato la pista con una F50 e una 456. “Ho appena usato per venti giri una monoposto con motore 10 cilindri senza conoscere la pista – disse poi incontrando la stampa – il motore mi ha impressionato, la base è giusta, bisognerà lavorarci molto ma sono contento di quel che ho trovato. L’anno prossimo gareggeremo per chiarire la nostra potenzialità ed essere pronti nel ’97 a vincere il titolo mondiale. Questa è la vera situazione che si avrà nel Mondiale dell’anno prossimo. Ma lasciatemi dire, dopo questa prima giornata, quale meraviglia io abbia provato per l’accoglienza della gente all’interno della fabbrica. Gente entusiasta per la coscienza di avere una bella potenzialità”.
“Non ho cercato prestazioni con la macchina costruita per ospitare il motore a 12 cilindri. Ho cercato, quindi, la posizione di guida migliore. Posso dire qualcosa sul motore: mi sembra molto promettente”
“Williams e Benetton sono da considerarsi i team più qualificati. Ma c’è anche la Ferrari, una squadra con molte incognite che presenta, però, molti punti positivi. Io dico che saremo in buona posizione nel ’96 e meglio ancora nel ’97”. Aveva capito tutto. Nel 96 vinse tre gare e poi nel 97 successe quel che sappiamo con Villeneuve.
“Gli anni in Benetton sono stati improntati ai buoni rapporti. Ora sono felice di partecipare a un’altra sfida, insieme alla Ferrari. Ci vorrà un po’ di tempo per essere perfetti, la Ferrari però ha il potenziale per tornare campione del mondo. Negli ultimi cinque anni è cresciuta in modo impressionante. Ora tocca a me, insieme al team, trovare il qualcosa in più. Per questo, in questa mia prima giornata a Maranello, ho guidato anche col buio, cercando di stare in macchina il più a lungo possibile per mettere a posto ra posizione di guida per le prove dell’Estorti, la prossima settimana. E’ solo un lavoro cominciato, prima di poter dire quali saranno le nostre possibilità reali dovremo vedere come saranno i nostri avversari”.
Eddie Irvine di fianco a lui non dava segni di insofferenza. Sapeva bene il suo ruolo, anche se giocava con le parole: “Michael ha una testa, due braccia, due gambe come me. Io posso copiarlo, apprendere molto da lui: le cose quindi possono anche cambiare, sperando che l’inversione cominci già dal prossimo mondiale”.
Dopo quei giri nel buoio di Fiorano, Schumacher tornò in pista il 21 a Estoril comparando due vetture.
La cosa curiosa e quel giorno Michael chiese già a Todt di cambiare il layout della pista di Fiorano, come ha ricordato qualche tempo fa Mattia Binotto, allora ingegnere di pista, al podcast della Formula 1 Beyond The Grid: “Ricordo benissimo quel primo test a Fiorano, perché Michael non era in grado di percorrere correttamente la prima curva della pista. Non ci riusciva proprio ed era più lento dei piloti che solitamente giravano con le nostre monoposto su quel tracciato. Dopo i primissimi giri tornò ai box e parlò subito con Jean Todt dicendo che quella curva doveva essere cambiata. Non voleva più vederla, era troppo diversa da tutte le altre curve dei circuiti allora in calendario”. “Riuscì subito nel suo intento, perché si decise di cambiare il layout della pista. Questo è un episodio che è ancora chiarissimo nella mia mente, fu un’esperienza senza precedenti”

