Le confessioni di #Leclerc: Ferrari apriremo un ciclo

Charles Leclerc si è raccontato a Walter Veltroni che ha scritto l’intervista sulla Gazzetta di oggi. Non ci sono novità ma è un bel racconto dell’uomo e dei suoi sogni. Tutti in rosso Ferrari

Il suo primo incontro con le auto quale è? Un’automobilina? 
“Le macchinine, da piccolo, le volevo sempre tutte. Erano la mia passione, passavo ore nei negozi. Ma poi, per un bambino monegasco, esiste solo il Gran Premio a Montecarlo. Ero fortunato: uno dei miei migliori amici, quando ero ragazzo, aveva un appartamento che sovrastava l’uscita della curva 1. Per le prove, per la gara andavamo sempre da lui”.

Leggeva i fumetti di Michel Vaillant? 
“Sì, ho visto il film e anche le storie delle sue avventure in pista le ho sicuramente lette”.

Nelle storie di Michel Vaillant compare più volte Lucien Bianchi. Lui era nato a Milano e morì in un incidente durante la 24 Ore di Le Mans del 1969. Suo nipote, Jules Bianchi, è stato molto importante per lei… 
“Jules mi ha aiutato molto nel momento più importante della mia carriera. Come dicevo prima, nel 2010 mio padre non poteva più sopportare i costi del kart perché comunque è uno sport costosissimo. Jules aveva Nicolas Todt come manager, ha parlato di me con Nicolas che mi ha osservato a lungo e, a fine anno 2010, ha deciso di sostenermi e mi ha messo subito nel team giusto. Ho vinto molto e sono passato in poco tempo dal kart alle macchine di Formula. Tutto è accaduto avendo sempre Jules vicino a me. Nella mia carriera e con lui ho imparato presto le piccole cose che sono importanti per essere subito competitivi”.

Qual è la cosa più importante da sapere?
“Prendere tempo e lavorare tanto. Nel kart forse basta il talento, in macchina non è sufficiente. Bisogna lavorare tantissimo, anche perché con tutti i dati che oggi abbiamo a disposizione anche un pilota con meno talento può diventare competitivo perché sa esattamente cosa deve fare con l’acceleratore, con il freno, con le marce. Poi il talento aggiunge qualcosa, ma oggi il lavoro sulla macchina e per la macchina è fondamentale”.

Jules Bianchi, come Lucien, è morto a seguito di un incidente nel Gran Premio del Giappone. Se ne è andato, nel 2015, dopo nove mesi di coma. Aveva solo 25 anni. La scomparsa di Bianchi, il cui viso richiama molto il suo, cosa ha significato per lei?
“È stato veramente difficile e lo è ancora. Ero anche io impegnato in un weekend di gara e la domenica mattina guardavamo un po’ distrattamente la Formula 1 dal Giappone. Ma io ero ai meeting. Mio padre ha guardato la gara e, quando sono rientrato, non voleva farmela più vedere. Avevo capito che c’era qualcosa di strano, mi aveva detto che c’era bandiera rossa. Dopo, circa un’ora prima della mia gara, ho visto che era Jules ad aver avuto un incidente. Ma non sapevo esattamente quanto fosse grave. È stato durissimo, una esperienza terribile. Per un lungo periodo Jules è stato in ospedale tra la vita e la morte. Sono andato a visitarlo più volte ed è stato difficile perché le nostre due famiglie era come se fossero una, siamo molto molto vicini anche adesso. Noi due avevamo una connessione forte. Separarmi da lui è stato difficile, terribilmente difficile”. 

Quando era ragazzo che macchina sognava di guidare? 
“La macchina rossa. Di sicuro. La macchina rossa, anche prima di sapere che si chiamasse Ferrari, era la mia magnifica ossessione”.

Credo che lei sia il pilota che ha il contratto più lungo nella storia della Ferrari. Cinque anni. La Ferrari ha deciso di legarsi a lei, di far coincidere i destini…
“Un onore certamente. E sicuramente anche una grande responsabilità perché comunque la Ferrari rimane la Ferrari. È stato un sogno arrivare fin qui. E sono consapevole che è il sogno di tanti, arrivare a Maranello. Dunque sento la responsabilità di portare in alto il nome della Ferrari. Questo momento non è facile in pista, c’è tanto lavoro da fare. Però è interessante avere un progetto comune così lungo. Consente di lavorare bene e di provare a costruire qualcosa di interessante, un nuovo ciclo. Sicuramente guidare una Ferrari è, insieme, un sogno che si realizza, una enorme responsabilità e un grandissimo onore”.

Cosa ha di diverso la Ferrari dagli altri team? 
“Credo la passione, la passione soprattutto. Non solamente dentro il team ma fuori. È una cosa incredibile. Sono sicuro che nessun altro team in Formula 1 abbia una base di tifosi così grande e una passione diffusa così grande per la Ferrari. Quasi una febbre. Questo è quello che per me è molto speciale, unico, in Ferrari”.

Quanto è difficile oggi vincere e vincere con la Mercedes in quella condizione? 
“Molto, perché le Mercedes sono ad un livello altissimo, si vede anche quest’anno, forse ancora di più quest’anno. L’anno scorso ce l’abbiamo fatta su due piste, credo che comunque c’era forse l’opportunità di vincerne un po’ di più. Io ho fatto anche qualche errore però ho imparato da questi errori. Quest’anno realisticamente sarà molto più difficile vincere qualche Gran Premio però proveremo in ogni modo e io darò tutto in pista”.

Cosa ha la macchina Ferrari in meno delle altre quest’anno?
“È difficile puntare su una sola cosa, è proprio un problema generale. Abbiamo visto che sotto la pioggia è difficile, ma sull’asciutto abbiamo fatto fatica un po’ più nel settore 1 di Austria dove ci sono più rettilinei. Dunque non è una cosa solamente perché sennò sul bagnato, quando la macchina va andremmo molto meglio, invece non è stato così e dunque dobbiamo lavorare su di un pacchetto generale per fare uno step migliore”.

Le hanno raccontato in scuderia di Gilles Villeneuve?
“Qualche volta i tifosi sui social mi paragonano a Gilles. A Monaco l’anno scorso avevo perso una ruota, anche lui aveva perso una ruota e ha continuato a girare. Essere paragonato a un pilota come Villeneuve è per me un grandissimo onore”.

Quanto c’è, nei risultati, di talento individuale e quanto di lavoro dei meccanici, dei progettisti? 
“Sessantacinque e trentacinque. Ma trentacinque il pilota e sessantacinque la squadra. Se non di più. Ora sono molto importanti la squadra, la macchina. Poi certamente il pilota è quello che fa la differenza, quello che alla fine in pista può raccogliere più o meno punti. Ma per definire in quale fascia di classifica la macchina si colloca, il pilota non può fare la differenza più di tanto, anche se può influenzare il team a prendere le direzioni giuste. Dunque tutto è connesso, tutto frutto di un progetto e di un lavoro comune”. 

Hamilton è un marziano? O è la sua macchina ad essere marziana?
“Credo che non possiamo togliere niente a Lewis. Lewis secondo me è uno dei più grandi piloti della storia della Formula 1 e sta facendo un grandissimo lavoro. È sempre molto costante, sempre al cento per cento, mentalmente molto forte. Dunque non c’è niente da dire: la Mercedes, lui. La combinazione tra i due elementi fa sì che in questo momento sia veramente difficile competere con loro”.

Con Verstappen eravate in competizione anche nelle altre Formule. Come definisce questo confronto tra voi? Sono due stili di guida? 
“A me non piace dire che ho uno stile di guida particolare, perché alla fine bisogna imparare sempre a sorprendere gli avversari e cambiare di stile di guida al bisogno. Il mio stile di guida è avere più stili di guida possibili. Nei nove anni di kart ero sempre con Max. Siamo cresciuti tutti insieme, anche con Russell, Ocon, Gasly, Albon. È stato bello, abbiamo combattuto tante battaglie insieme. Ci odiavamo, quando eravamo più piccoli, ma ora siamo cresciuti, siamo un po’ più maturi ed è bello vederci tutti insieme, in Formula 1”.

Lei da piccolo venne in visita qui alla Ferrari? 
“Sì, una volta con Jules. Lui mi portò, io ero a Formula Medicine e lui doveva passare alla Ferrari Driver Academy. Avevamo parcheggiato la macchina ma al cancello Jules passò ma io fui fermato. Lo vidi entrare nel luogo. Ne avevo sognato, nella casa della rossa… Jules mi disse: “Lavora e forse un giorno ti faranno passare”. Il giorno è arrivato”.

Cosa è la paura per un pilota di Formula 1?
“Non c’è. Parlo per me credo che per i piloti in generale non possa esistere la paura quando guidano, altrimenti dovrebbero fare altro”.

L’auto che lei da bambino sognava di guidare?
“Per me esisteva solo la Formula 1 e niente altro. Quando correvo in mini kart mi ricordo non c’erano le marce però facevo con la bocca il rumore della Formula 1 provando a scalare le marce”. 

Lei girerebbe anche in città con la Formula 1? Lo ha fatto a Maranello, dopo il lockdown… 
“Esatto, quando ero piccolo questo era il mio sogno”. 

Il momento più bello e il momento più brutto? 
“Il momento più bello è stato la vittoria di Monza. Il momento più brutto la perdita di mio padre. E’ stato un momento difficilissimo”. 

Quanti anni aveva?
“Diciannove”.

Quando pensa che la rossa tornerà a vincere?
“Questa è una domanda complicata. Dare un tempo esatto è molto difficile. Adesso è un momento assai complesso per la Scuderia, dunque ci vorrà abbastanza tempo. Quanto, ora, non lo so. Però credo che nel 2022 ci sarà un rilevante cambiamento di regole e quella sarà una grandissima opportunità per cambiare le cose. E noi dobbiamo lavorare per cambiarle nel 2022. Per aprire un nuovo ciclo di successi Ferrari”.

Lei, pur aderendo alla protesta, ha scelto di non inginocchiarsi in pista per il black lives matter… 
“Io sono contro il razzismo, lo combatto, e sono molto contento che la F. 1 usi la sua piattaforma per far vedere al mondo quale è la strada giusta e cosa dobbiamo fare tutti nella vita: trattare chiunque come si deve, senza pregiudizi per il colore della pelle. Ma quel gesto non volevo farlo anche perché a molte proteste che ci sono state in tutto il mondo si sono associati casi di violenza e io non accetto mai nessuna forma di violenza. Non mi piace neanche che una protesta civile venga utilizzata dalla politica. Ho indossato la maglietta e mi sono schierato. Ma è quella la causa: combattere il razzismo, non altro. Per essere chiaro penso che proprio la discriminazione razziale sia il principale problema del mondo in questo momento. Conoscere nel 2020 situazioni di razzismo è semplicemente assurdo”.

Qual è il pezzo della macchina che le piace di più? 
“Forse la parte posteriore dell’auto. Mi piace veramente tanto: con l’ala abbassata, più larga, con le ruote larghe. Per me è bellissima”.

Se dovesse costruire un pilota ideale, come lo comporrebbe?
“La capacità di lavorare di Michael Schumacher, il talento di Ayrton Senna, l’intelligenza di Lewis Hamilton. Credo che questi tre alla fine siano i nomi che hanno fatto grande la F.1”.

Quanto ci vorrà perché un pilota italiano torni ad avere un ruolo competitivo in Formula 1? Oggi c’è solo Giovinazzi… 
“Antonio è sicuramente molto talentuoso. Ma sta crescendo una nuova generazione di piloti italiani molto forti, penso a Gabriele Minì che in monoposto è molto bravo, c’è un altro, ancora più piccolo, che si chiama Andrea Antonelli. Questi due vanno molto forte, sicuramente sono ancora giovani e c’è ancora tanta crescita possibile. È molto importante anche il momento della crescita da bimbo ad adulto perché mentalmente si cambia tanto. Se saranno capaci di gestirsi li vedremo in Formula 1”.

Cosa le dà fastidio del modo in cui il suo sport viene raccontato dai media?
“Anche io, prima di arrivare in F.1, non sapevo cosa aspettarmi, non sapevo quante persone lavorino in un team. In un anno difficile come questo noi abbiamo bisogno del sostegno di tutti. Non c’è una sola persona in Ferrari contenta della situazione, del risultato che abbiamo in pista. Però tutti — come dirlo in un modo corretto? — si fanno il “mazzo” per recuperare questo distacco. Siamo tutti tristi per questo, e vorremmo che all’esterno si avvertisse che stiamo lavorando per migliorare. E lo facciamo tutti, lo facciamo insieme”.

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umberto zapelloni

Nel 1984 entro a il Giornale di Montanelli dove dal 1988 mi occupo essenzalmente di motori. Nel gennaio 2001 sono passato al Corriere della Sera dove poi sono diventato responsabile dello Sport e dei motori. Dal marzo 2006 all'aprile 2018 sono stato vicedirettore de La Gazzetta dello Sport

1 commento

  1. Chissà perchè anche Leclerc ha già passato il 2021. Quasi fosse inutile persino partecipare al prossimo campionato di F1. Nel 2022 tutti hanno grosse speranza ma rimane il fatto che i più gossi teams è da tempo che stanno investendo su questi progetti e hanno investito molti milioni, ora che lo possono fare. Mercedes è sicuramente quella che lo ha potuto fare da più tempo perchè, in pratica, ha già la macchina per il 2021 e non le interessa nemmeno cambiarla più di tanto. la rossa si aspetta di ribaltare la situazione al via del 2022 ma, secondo me, partiranno ancora dietro. E considerando anche i nomi di progettisti di altre marche (vedi RB) non mi stupirei fosse ancora nel gruppo di mezzo. Di buono c’è che la RP avrà ben poco da copiare dalla Mercedes 2021…

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