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Horner e Newey: come è nata la coppia più bella della Formula 1 di oggi

MONTE-CARLO, MONACO - MAY 23: Red Bull Racing Team Principal Christian Horner and Adrian Newey, the Chief Technical Officer of Red Bull Racing celebrate after the F1 Grand Prix of Monaco at Circuit de Monaco on May 23, 2021 in Monte-Carlo, Monaco. (Photo by Mark Thompson/Getty Images) // Getty Images / Red Bull Content Pool // SI202105230375 // Usage for editorial use only //

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Adrian Newy e Christian Horner sono la coppia più bella della Formula 1 di oggi. La Red Bull li ha messi uno di fianco all’altro in una doppia intervista che vi ripropongo.

Riportiamo indietro le lancette dei nostri orologi fino al 2005. Christian Horner, all’inizio di quell’anno, si preparava ad affrontare la sua prima stagione sportiva nelle vesti di team principal di una scuderia di Formula Uno. A credere nelle sue capacità era stato un team, nato da poco e chiamato Red Bull Racing, che – come Horner – era pronto per debuttare ufficialmente nel Circus. La scuderia e il team principal erano alle prime armi, certo, ma entrambi sapevano bene di cosa avessero bisogno per vincere. O meglio, di chi avessero bisogno: di Adrian Newey.

“All’epoca ciò che ci mancava era un direttore tecnico che avesse esperienza”, racconta Horner.

“Adrian era il meglio di ciò che la F1 avesse da offrire, quindi la domanda che ci siamo posti è stata: come possiamo convincerlo a unirsi a noi? Come possiamo persuaderlo a diventare parte del team Red Bull?”.

Già nel 2005, infatti, Newey era considerato una delle menti più brillanti che il mondo della Formula 1 avesse mai accolto. Le primissime esperienze con la Leyton House, risalenti al 1990, sembravano lontanissime a seguito dei successi iridati ottenuti con Williams e McLaren in qualità di direttore tecnico. Per convincerlo, Horner dovette letteralmente fare… un passo dopo l’altro. Nel corso di quella stagione 2005, infatti, il team principal della Red Bull fece sempre in modo di farsi trovare in giro nel paddock nel momento in cui Newey entrava per raggiungere il team in cui lavorava allora. Adrian, quelle passeggiate assolutamente non casuali, se le ricorda ancora benissimo.

“Ormai quella di Christian, durante quella stagione 2005, era diventata una vera e propria abitudine: ogni volta che entravo nel paddock lui era sempre per caso nei dintorni dell’ingresso, a passeggiare”, ricorda infatti ridendo Newey.

“Abbiamo iniziato a parlare sempre più spesso e sempre più a lungo, fin quando da dietro un camion non è apparso un uomo con un giubbotto di pelle nera. ‘Piacere, sono Helmut Marko e questo è il mio biglietto da visita’, mi disse. ‘Ci sentiremo presto per telefono'”.

Christian Horner e Adrian Newey agli inizi della loro avventura in Red Bull© Getty Images/Red Bull Content Pool

Il resto è storia. Il Dr. Marko ben presto chiamò Newey, che fu rapidamente convinto a unirsi a Horner tra le fila di Red Bull Racing. Da quel momento in avanti il cammino di questi due personaggi è andato di pari passo con quello della scuderia, venendo scandito da un incredibile serie di vittorie che hanno scritto la storia del team e della Formula 1 stessa.

Le ultime, in ordine di tempo, sono state quelle ottenute nella stagione 2022. Per la prima volta dal 2013, infatti, Red Bull Racing è tornata a festeggiare un doppio successo: al secondo titolo piloti ottenuto da Max Verstappen si è infatti aggiunto, grazie al grande contributo offerto da Sergio Pérez, il quinto titolo costruttori della storia del team.

In un’intervista concessa alla giornalista e presentatrice TV inglese a Laura Winter, due tra le figure più simboliche di Oracle Red Bull Racing hanno raccontato le origini della loro collaborazione professionale, il modo in cui il lavorare insieme abbia costruito un forte legame e come i successi – uniti alle inevitabili e immancabili sconfitte – siano riusciti a rendere la scuderia di Milton Keynes uno dei punti di riferimento all’interno del mondo della Formula 1.

Agli albori di questa storia un ruolo centrale lo ha ricoperto David Coulthard, un pilota che Newey conosceva molto bene dopo averci lavorato insieme sia in McLaren che in Williams. Lo scozzese, pilota di punta del team in quella stagione 2005 d’esordio, fu fondamentale nel convincere il genio di Stratford-upon-Avon a unirsi al team. “DC” spiegò infatti a Newey come, nonostante la reputazione della scuderia fosse ancora tutta da costruire, dietro a una facciata “festaiola” si nascondesse un gruppo di persone serie, competenti, ambiziose e affamate di successi.

È stato David Coulthard a “rassicurare” Newey© Getty Images/Red Bull Content Pool

“David è un buon amico, e mi fido parecchio dei suoi giudizi. All’epoca mi convinse, e per me fu una sorta di via libera”, ricorda Newey.

“Red Bull Racing a quei tempi era famosa per le sue feste: come potevo pensare che si potesse prendere seriamente un team del genere? Una volta superate le apparenze, tuttavia, mi sono reso conto del fatto che avessero le carte in regola per fare bene. Anzi, per fare benissimo”.

Quella che nell’arco di pochi anni si sarebbe rivelata una vera e propria pietra miliare nella storia di Red Bull Racing fu, in vista della stagione 2009 di Formula 1, l’ingaggio dell’allora giovanissimo Sebastian Vettel. Il tedesco, che nel corso della precedente stagione aveva stupito il mondo centrando una storica vittoria alla guida della Scuderia Toro Rosso – l’attuale Scuderia AlphaTauri – in occasione del GP d’Italia, si rivelò infatti veloce, costante e affamato di vittorie. Vettel conquistò la prima vittoria nella storia di Red Bull Racing in occasione del GP della Cina, in quella che era la sua terza gara per il team, per poi costruire un vero e proprio impero sportivo a partire dalla stagione 2010: il tedesco, nei successivi cinque anni trascorsi tra le fila della scuderia di Milton Keynes, è infatti riuscito non solo a vincere quattro titoli mondiali e 38 GP, ma anche a rendere Red Bull Racing una importantissima realtà motoristica dopo neppure dieci anni dalla sua nascita.

A proposito di Vettel, ritiratosi dalla Formula 1 poche settimane fa a seguito del GP di Abu Dhabi, Horner ha qualcosa da dire. Ripercorrendo infatti la carriera di un pilota che è arrivato a disputare 299 gare in F1, il team principal di Red Bull Racing riflette su come la combinazione tra il talento del tedesco e la sua straordinaria etica del lavoro lo abbiano reso uno dei grandi della Formula 1.

Sebastian Vettel ha firmato la prima vittoria di Red Bull Racing© Getty Images/Red Bull Content Pool

“Era palese che fossimo di fronte a un talento incredibile. La Toro Rosso, così come era configurata a quei tempi, diede ad alcuni piloti del vivaio Red Bull la possibilità di mettersi in mostra e di compiere un ulteriore passo fino a noi. Non appena a Sebastian venne data quella possibilità, lui spiccò subito in mezzo a tutti gli altri”, dice Horner.

“Sebastian ha lavorato duramente, aveva una dedizione incredibile. Non ha lasciato nulla di intentato per provare a vincere, a battere i record, a migliorarsi. Spesso era lui l’ultimo a uscire dalla sala degli ingegneri il venerdì o il sabato sera”.

Il suo impegno generò un altro effetto: diede a Newey la voglia di alzare ulteriormente l’asticella.

“Aveva un approccio straordinariamente metodico, non si risparmiava mai”, dice Newey.

“Commetteva un errore? Voleva sapere perché lo aveva commesso, cosa avrebbe potuto fare per evitarlo. Raramente ha sbagliato due volte nello stesso modo”.

“È riuscito a contagiare l’intero team con la sua dedizione. La scuderia era pronta per fare sempre un qualcosa in più, perché sapevano che il loro lavoro avrebbe ricevuto un’ulteriore spinta da ciò che Sebastian avrebbe messo nella guida”.

L’impatto avuto dall’olandese nel team, d’altronde, è stato dirompente. Dopo 23 GP disputati vestendo i colori della Toro Rosso, Verstappen ha centrato il successo nel GP di Spagna 2016 alla sua prima gara corsa da pilota Red Bull. In più, come se non bastasse, è sempre grazie all’olandese che il team ha potuto sia festeggiare la conquista del titolo piloti nell’epica stagione 2021 sia bissare il Mondiale nel 2022, l’anno in cui Max ha fatto segnare il record di GP vinti da un solo pilota in una stagione (15) e il record di punti iridati ottenuti in un campionato (454).

Verstappen – qui con Newey e Horner – ha avuto 15 ragioni per sorridere© Getty Images/Red Bull Content Pool

Sia Horner che Newey hanno potuto osservare dall’interno il lavoro svolto in Red Bull Racing da Verstappen e Vettel, e sebbene i due abbiano ottenuto i rispettivi successi in modi estremamente diversi Horner riesce comunque a individuare un comune denominatore.

“Su una cosa bisogna essere chiari fin dal principio: sono due persone estremamente diverse”, esordisce Horner.

“Mi spiego meglio. Sebastian, per esempio, era molto… teutonico nella sua etica del lavoro. Era instancabile. Max, invece, ha un talento tanto enorme quanto naturale, unito a una fame e a una determinazione che raramente mi è capitato di vedere. Tenendo dunque a mente quanto siano diversi, credo che i due siano molto simili nella loro voglia di vincere, di eccellere, di essere sempre i migliori”.

“A prescindere da ciò che gli riserverà il futuro, Max ha ottenuto risultati incredibili in un lasso di tempo estremamente breve. Non dobbiamo mai dimenticare che ha solo 25 anni, e c’è quasi da avere paura pensando a quanto tempo avrà ancora a disposizione per migliorarsi”.

I piloti comunque, persino i campioni del mondo, vanno e vengono, in ossequio a una sorta di ciclo naturale della Formula 1. Eppure, dopo 17 stagioni trascorse insieme, sia Horner che Newey affermano di avere imparato tante cose e negli anni vincenti e in quelli più difficili. Una di queste è che, in un mondo costellato di budget faraonici, strutture incredibilmente tecnologiche e quantità impensabili di dati, è ancora l’elemento umano a contare più di qualunque altra cosa.

“Uno dei punti di forza del team è stata la capacità di trovare la motivazione per superare insieme un periodo difficile”, dice Newey pensando alle annate tra il 2014 e il 2018, caratterizzate dal dominio Mercedes.

“Abbiamo dovuto solamente attendere una Power Unit competitiva. Una volta avuta, grazie alla partnership con Honda, siamo stati in grado di passare alla controffensiva”, prosegue Newey mentre Horner gli fa silenziosamente eco annuendo con la testa.

“Per noi non è stato un periodo semplice. Arrivavamo da quattro campionati dominati e, all’improvviso, ci ritrovavamo a inseguire un team che era anni luce avanti a qualunque altro”, dice Horner.

“Per una realtà abituata a vincere spesso avrebbe potuto essere… pericoloso: sarebbe stato per certi versi quasi naturale abbassare la testa e iniziare a perdere motivazione. In quegli anni ci siamo preoccupati soprattutto di tenere unita la scuderia, concentrandoci sugli aspetti che erano ancora totalmente sotto il nostro controllo, su quelle cose che potevamo ancora influenzare con le nostre azioni. C’è stata grande lealtà, grande coesione in quel periodo. Pian piano abbiamo ricominciato a vincere delle gare, e a quel punto abbiamo iniziato a credere che sarebbe stata solamente questione di avere la Power Unit giusta al momento giusto”.

L’approccio di Newey potrebbe sembrare vecchia scuola, ma che risultati…© Getty Images/Red Bull Content Pool

Con la stagione 2022 andata ufficialmente in archivio, lo sguardo di Newey è già puntato – come quello di tutti gli altri ingegneri – sul prossimo futuro e, in particolare, su un’interpretazione del regolamento della F1 che permette alla scuderia di rimanere tra i top team. “Non credo che Ferrari rimarrà a guardare”, dice.

Se è vero che questo solamente il tempo saprà dirlo, ciò che è invece chiaro a Horner e Newey sin da ora è il perché la loro collaborazione – che si avvicina al traguardo dei 20 anni – abbia funzionato nel passato e sia pronta a fare lo stesso anche nel futuro.

“Credo che sia un rapporto basato sulla fiducia, sull’amicizia e sul mutuo rispetto per ciò che ciascun altro fa”, dice Horner spiegando i motivi per cui la collaborazione con Newey sia stata così fruttuosa.

“Siamo entrambi certi di poterci concentrare esclusivamente sul nostro lavoro, perché sappiamo che l’altro sta facendo in modo eccellente il suo”, gli fa eco Newey. “È un modo informale di lavorare, basato per l’appunto sulla fiducia e sull’amicizia: credo che sia questo il motivo per cui funziona così bene”.

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