
Lorenzo Bandini se ne è andato il 10 maggio 1967, ma il giorno dell’incidente che gli costò la vita, quel volo nel fuoco al porto di Montecarlo è di tre giorni prima. Maggio è un mese terribile che chi ama la Formula 1 e i suoi protagonisti: Senna, Villeneuve, Bandini, De Portago, De Angelis, Ascari senza scordare ci non è morto in pista ma ci ha lasciati in questo mese: Vittorio Brambilla, Niki Lauda, Shelby, Perdisa, Trossi, Piech, Jack Brabham. “A morire di maggio ci vuole tanto, troppo, coraggio”, come cantava De Andrè.
La vita, troppo breve, di Lorenzo Bandini prende una svolta decisiva quando il ragazzo di Reggiolo ha 15 anni. Era nato il 21 dicembre 1935 a Barce, nella Libia italiana, ma era poi diventato grande nel paese originario della mamma Elena Martignoni dopo che il padre, tornato a fare l’albergatore a Brisighella, fu sequestrato e fucilato in una rappresaglia durante la guerra civile.
Quel ragazzo aveva la passione per i motori. Studiava poco, ma lavorava tanto sui motori. E la mamma, incontrando un amico d’infanzia che era meccanico con officina a Milano in via Plinio, gli raccomandò il figlio. “Mandalo da me a Milano”, le disse Goliardo Freddi. Mangiava
panini e dormiva spesso sui sedili posteriori delle vetture parcheggiate nell’officina… fino a che….
Goliardo non gli diede solo un lavoro. Gli trasmise la sua passione per le corse e poi gli concesse in sposa anche sua figlia Margherita. “Sopra il garage di papà c’era una stanza con bagno e Lorenzo si è sistemato lì – raccontò Margherita in un ‘intervista al Corriere della Sera – Io avevo 13 anni e una sera me lo sono trovato davanti in canottiera e con un asciugamano sulla spalla, sembrava un cherubino, pelle chiara e capelli nerissimi: rimase bloccato a guardarmi e poi mi avrebbe detto che da quel momento si era innamorato».
Le prime corse di Bandini sono quelle in salita con la Fiat 1100 bicolore del suocero. Il sabato smontava il motore dell’auto e lo sostituiva con un motore più potente, da corsa. La domenica sera rimetteva tutto in ordine. Non era bravo solo come meccanico. Cominciò a ottenere dei piazzamenti importanti, a trovare altre auto più attrezzate. Arrivarono le prime vittorie anche in circuito. In Italia e all’estero. Quando nel 1961 vinse la Coppa Junior a Monza sognò di salire su una Ferrari, ma quell’anno il commendatore gli preferì Baghetti. Esordì lo stesso in F1 con la Cooper della Scuderia Centro Sud e l’anno dopo arrivò a Maranello. “Anni belli. Lo accompagnavo in giro per l’Europa – ricorda sempre Margherita in quell’intervista – L’ansia c’era sempre, soprattutto alla partenza mi tremavano le mani”.
“Buone origini di meccanico, corretta disinvoltura nella guida, un amor proprio singolare, Bandini figurava bene su ogni tipo di macchina – scriveva di lui Enzo Ferrari – Questa impressione me lo faceva riavvicinare a un Richie Ginther, ma lo stimavo un potenziale Peter Collins. La sua volontà, la fiducia, il grande attaccamento ai colori della squadra mi legarono a lui affettivamente”.
Sempre Ferrari, racconta: “Il 1967 – l’aveva promesso a se stesso – doveva essere il suo anno. Era diventato ormai un simbolo per l’Italia dello sport del volante. Lo avevano scoperto anche le immancabili sostenitrici che affollano tutti i circuiti. Avevano subito il fascino di quel giovanotto dai lineamenti delicati che spesso Margherita indicava con orgoglio di moglie. Era però rimasto il tipico pilota di affetti e serenità borghesi. Aveva da poco investito i suoi guadagni degli ultimi tempi acquistando un podere a Brisighella, non a caso, vicino a San Cassiano di Romagna. Saliva anche sul trattore per spianare la terra, dalla quale voleva viti e buon vino. Me ne portò una volta qualche bottiglia. «Quando avrò finito di correre per lei» diceva «farò l’agricoltore.» Era il riscatto della sua fanciullezza difficile, dell’infelice esperienza sulla sponda dove gli italiani dovevano fertilizzare un deserto che nascondeva a dovizia l’oro nero sotto le sue pieghe sabbiose…”.
Il 7 maggio 1967 a Montecarlo Lorenzo Bandini parte in testa accanto a Jack Brabham. Prende il comando, il motore di Brabham perde olio e inonda la pista, la Ferrari di Lorenzo scivola, cede posizioni e deve cominciare una rimonta penosa, ma all’82° giro esce, va a sbattere, vola, ricade, si capovolge. “Ricordo quel giorno di maggio del 1967 – scrive sempre Ferrari -. Ero nel mio studio a Maranello, davanti al televisore che trasmetteva le fasi conclusive del Gran Premio di Monaco. Quando vidi il grosso fungo nero di fumo che deturpava in modo sinistro la baia di Montecarlo, ancor prima che Piero Casucci il non dimenticato telecronista di quei tempi, commentasse la catastrofica immagine, sentii che quella macchina in fiamme era una delle mie. Ora non so dire perché, ma intuii Bandini nel rogo e fui sicuro che non lo avrei più rivisto”.