La storia di Degner, il pilota in fuga dalla Stasi

Le curve 8 e 9 di Suzuka, il circuito di proprietà della Honda dove si corre il Gran premio del Giappone, sono dedicate a Ernest Degner, un motociclista tedesco degli anni Cinquanta e Sessanta con una storia davvero particolare.

Nato a Gleiwitz (Silesia Superiore, oggi in territorio polacco) nel 1931 e cresciuto nella Germania Est, Degner era uno degli sportivi più in vista della parte orientale. Correva con le MZ, moto a due tempi progettate da Walter Kaaden, un geniale ingegnere che, durante la Seconda Guerra Mondiale, aveva lavorato per i nazisti a Peenemunde, la fabbrica di armi segrete voluta da Adolf Hitler. Grazie alla creatività di Kaaden, le MZ erano in grado di competere e battere non soltanto la concorrenza europea ormai consolidata ma anche quella dei costruttori emergenti, che cominciavano ad affacciarsi nelle competizioni più importanti in Occidente.

Nel 1960, ad esempio, la Suzuki aveva iscritto la prima moto da corsa ma era drammaticamente lenta, chiudendo il TT dell’Isola di Man 125 del 1960 a ben 15 minuti dal vincitore. Era chiaro che i giapponesi avessero bisogno urgentemente di know-how, ma dove trovarlo?  

La risposta arrivò sotto forma di un incontro casuale svoltosi l’anno seguente tra Degner e la casa nipponica, cui prese parte il presidente Shunzo Suzuki. Durante la conversazione, il pilota tedesco disse che era stanco della sua vita opaca nella Germania dell’Est, visto che il resto del mondo stava iniziando a emergere dall’austerità post-bellica: gli pesava la sorveglianza degli agenti della Stasi, la polizia segreta, che lo seguivano a ogni gara (erano così preoccupati che potesse fuggire che alla famiglia non era permesso andare alle gare, così avrebbe sempre avuto un motivo per tornare a casa).

Ovviamente, odiava anche il fatto che molti dei suoi colleghi piloti – con meno talento – fossero pagati una fortuna rispetto a lui, che doveva accontentarsi di uno stipendio pari praticamente a quello di qualunque altro lavoratore della MZ. Fu così raggiunto un accordo: Degner sarebbe scappato, avrebbe aiutato la Suzuki a sviluppare le moto e poi avrebbe corso per i giapponesi.

Ma non sarebbe andato via dalla DDR senza la sua famiglia e, con il Muro di Berlino appena eretto, portarli fuori sarebbe stato quasi impossibile. Così, in occasione del Gran Premio di Svezia del 1961 che si svolgeva a Kristianstad, Degner organizzò con l’aiuto di un suo amico della Germania Ovest – che faceva frequenti viaggi d’affari a Berlino Est – la fuga di sua moglie e i suoi figli, facendoli nascondere in un vano segreto nel bagagliaio di una Lincoln Mercury.

Il piano di Degner faceva affidamento sul fatto che la Stasi dedicava più tempo a sorvegliare lui in pista all’estero che la sua famiglia in patria: aveva ragione.

Degner, che in gara dovette ritirarsi per la rottura del motore, riparò in Germania Ovest per riunirsi alla famiglia prima di trasferirsi poi ad Hamamatsu, dove si trovava il quartier generale Suzuki. Una delle prime reazioni della MZ fu la cancellazione immediata del programma di gare all’estero, casomai ad altri piloti o tecnici fosse venuta l’idea di seguire l’esempio di Degner…

Degner corse nella stagione 1962 con una Suzuki: temeva costantemente di essere ucciso dalla Stasi ma alla fine riuscì comunque a conquistare il primo titolo iridato nella classe 50 cc.  

Dall’anno successivo, però, la favola iniziò a trasformarsi in un incubo. Nel Gran Premio del Giappone a Suzuka cadde dalla moto nel posto ora noto come Degner Curves e, quando il serbatoio del carburante esplose, riportò gravissime ustioni che richiesero oltre 50 trapianti di pelle. Altri incidenti costellarono il suo ritorno alle corse fino al ritiro definito arrivato nel 1966.

La convivenza con la sofferenza lo fece scivolare nella dipendenza dalla morfina: quando la morte lo colse improvvisamente nel 1983, all’epoca viveva a Tenerife (Spagna), in molti pensarono che fosse rimasto vittima di un’overdose ma, allo stesso tempo, fiorirono anche teorie fantasiose che lo vedevano vittima di una vendetta tardiva della Stasi.

Alla sua memoria e come ringraziamento per il contributo dato alla storia del motociclismo sportivo giapponese furono intitolate le curve 8 e 9 del tracciato di Suzuka.

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umberto zapelloni

Nel 1984 entro a il Giornale di Montanelli dove dal 1988 mi occupo essenzalmente di motori. Nel gennaio 2001 sono passato al Corriere della Sera dove poi sono diventato responsabile dello Sport e dei motori. Dal marzo 2006 all'aprile 2018 sono stato vicedirettore de La Gazzetta dello Sport

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