Addio a De Adamich signore della guida sicura

Andrea De Adamich se ne e’ andato l’altra sera abbracciato dai suoi cari. Aveva 84 anni. E’ stato un signore delle corse e poi uno dei primi a capire l’importanza della guida sicura aprendo una scuola che porta e porterà per sempre il suo nome. Pilota, istruttore e commentatore televisivo dei gran premi targati Mediaset. Un uomo di corse a 360 gradi che sapeva farsi volere bene.

Ecco l’intervista che gli feci per festeggiare i suoi 80 anni (con il disegno di Roberto Rinaldi):

Gli ottant’anni di Andrea De Adamichnon sono stati banali. Li ha riempiti di corse, di idee, di progetti. È pure diventato padre per la terza volta all’età in cui il resto del mondo fa il nonno. Gli serve per sentirsi ancora giovane, come quando aveva provato a correre di nascosto dalla famiglia, senza pensare che poi a casa sarebbero arrivate le fotografie delle sue imprese con la Triumph TR3 che gli avevano regalato i genitori per la maturità. Al volante non ha fatto differenze: rally, gare in salita, gare di regolarità, Turismo, Prototipi, Can Am, Formula 1, 2 e 3. “Solo a Indianapolis non ho mai corso…”, racconta con una punta di orgoglio. Andava veloce, ma con il passare del tempo ha preferito la sicurezza, inventandosi la Scuola di Guida Sicura che ancora oggi dirige a Varano, la sua nuova casa dopo i natali a Trieste e la gioventù a Milano. Pilota, manager, commentatore televisivo, l’alternativa di Italia 1 alle telecronache di Mario Poltronieri sulla Rai. L’esempio di come si possa costruire una carriera di successo dopo essere stato uno sportivo. Ha corso negli anni Sessanta e negli anni Settanta, in un periodo in cui portare a casa la pelle era già una grande vittoria.

De Adamich se l’è vista brutta due volte, prima a Brands Hatch e poi a Silverstone, ma ha visto morire tanta gente attorno a lui. “Sono stato un pilota che ha fatto la gavetta senza partire dai kart perché ai miei tempi non c’erano. Ho corso su ogni tipo di macchina. Ho cominciato con le autosciatorie non ho più smesso… Ho guidato tanti di quei tipi di vettura che non credo ce ne siano altri come me. Oggi poi sono tutti iper specializzati. Preferivo la pista alla strada perché mi piaceva il confronto diretto, il corpo a corpo con il mio avversario, vedere chi staccava dopo… Nei rally o nelle gare in salita non sai mai quanto stai andando nei confronti del tuo avversario. Mi capitò anche la prima volta che provai una Ferrari a Modena… Pensai questo non è il mio mestiere e invece ero solo seduto male, poi una volta che mi hanno adattato il sedile ho cominciato ad andare fortissimo”.

“Ai miei tempi il corpo a corpo era fatto da piloti che si rispettavano in gara e nella vita, cosa che per me oggi non esiste più. Vedi gente come Verstappen o altri che entrano in curva sperando che l’altro si spaventi e li lasci passare. Noi rischiavamo la vita ogni volta e cercavamo di non aggiungere rischi a quelli che già ci prendevamo. Oggi rischiano, tanto sanno che non avranno conseguenze. Le corse ai miei tempi erano pericolose, ho visto morire tanta gente. Quando vedevi del fumo alzarsi in pista pensavi ‘speriamo che il pilota sia uscito’. Poi la seconda volta che passavi accanto a un’auto capovolta la vedevi solo come un ostacolo da evitare. Non dobbiamo essere ipocriti, ho visto bruciare Giunti a Buenos Aires, Bonnier, Peterson, Revson, Rodriguez, Siffert morire in pista, Helmuth Marco perdere un occhio. Quando sono rimasto bloccato per 52 minuti con le gambe rotte a Silverstone per un incidente causato da Scheckter che tra l’altro non si è mai scusato con me, ricordo che pensai ma guarda Williamson ha la macchina più conciata della mia e non si è fatto nulla. Potevo rompermi una gamba io e un braccio lui… Poi la gara dopo io ero ancora in ospedale, lui è morto bruciato, io sono rimasto quattro mesi su una sedia a rotelle. Ma il culo vero, lasciatemelo dire perché solo fortuna non basta, l’avevo avuto a Brands Hatch con la Ferrari quando alla corsa dei campioni mi ruppi due vertebre… tralasciando la trascuratezza dei medici inglesi che mi lasciarono tornare a casa finii al Pini a Milano dove mi misero una Minerva Imperiale di gesso”. Una mummia praticamente. Mangiava con una cannuccia grazie ad un dente scheggiato. “Tolto il gesso e messo un collarino andai a vedere il Lotteria a Monza e incontrai Ferrari. Ho una foto in cui da come mi guarda si capisce che non credeva più in me… Ma me la fece sporca. Avevo un contratto per l’anno dopo, ma lui durante la conferenza di fine anno, mentre io ero in Argentina a correre e vincere, disse che gli avevo mandato un telegramma in cui annunciavo di aver firmato per l’Alfa. Un’invenzione. Quando tornai e andai da lui mi propose 8 gare in F1 e tutta la stagione in F2, ma io non sentivo più la sua fiducia, dissi no grazie e me ne andai… Sentivo che il mondo Ferrari non sarebbe più stato per me. Forse ho sbagliato”.

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umberto zapelloni

Nel 1984 entro a il Giornale di Montanelli dove dal 1988 mi occupo essenzalmente di motori. Nel gennaio 2001 sono passato al Corriere della Sera dove poi sono diventato responsabile dello Sport e dei motori. Dal marzo 2006 all'aprile 2018 sono stato vicedirettore de La Gazzetta dello Sport

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