Elkann la Ferrari elettrica, Newey, Le Mans e Schumi

John Elkann presidente della Ferrari ha scelto il Corriere della Sera (certo non un giornale amico) per dire la sua sul futuro della Ferrari, il progetto Soldini, l’idea Newey, la Formula 1 tra alti e bassi, l’orgoglio per i successi alla 24 ore di Le Mans… una bella chiacchierata che lascia qualche dubbio sulla fattibilità dell’operazione Newey…

Ecco la bella intervista dei Danieli del Corsera (Dallera e Sparisci):

MARANELLO – John Elkann, quale è il suo primo ricordo della Ferrari?
«La F40 e la Testarossa di mio nonno. Con mio fratello (Lapo, ndr) le accendevamo di nascosto. Avevamo meno di dieci anni».

Sapevate metterle in moto?
«Quello era facile. Il difficile era riuscire a entrare nel garage in cui le teneva. Per noi era un momento di libertà e soddisfazione: non è che le guidassimo, ma schiacciavamo l’acceleratore soltanto per sentire il rumore e dentro sognavamo a occhi aperti».

Il nonno lo permetteva?
«Non lo sapeva proprio».

La prima volta in pista? 
«Eravamo bambini negli anni 80, era una F1 dominata dalla McLaren: non erano ricordi felici. Sono molto più legato al periodo di Todt e Schumacher, ma ero già più grande».

«Schumacher ancora nella famiglia Ferrari»

Chi è Schumacher per lei?
«L’anno prossimo ricorreranno 25 anni dal primo Mondiale che vinse con la Ferrari. Capivo già quanto fosse straordinario non solo come pilota ma come uomo. Gli insegnamenti di Michael sono ancora presenti a Maranello dove passava molto tempo, anche con i figli. Ci pensavo l’altro giorno al Family day, dove hanno partecipato oltre trentamila persone, mai così tante. La Ferrari è davvero una grande famiglia. E Michael ne fa tuttora parte: per me non è soltanto un campione, ma molto di più: ha amato la Ferrari e rimane molto amato da tutti noi».

Sei anni fa è diventato presidente. Entrato in carica in momenti drammatici, da dove è partito?
«Quell’estate del 2018 è stata complicatissima e dolorosa per la perdita di Sergio (Marchionne, ndr) a cui ero molto legato. Dovevamo presentare il piano industriale: c’era bisogno di dare una prospettiva alla Ferrari, un’azienda che in passato era stata molto legata al suo fondatore e poi alla Fiat. Con la quotazione del 2016 si era deciso di dare alla Ferrari la possibilità di essere indipendente. E quell’estate abbiamo raccontato che cosa avremmo fatto in futuro, iniziando dalle persone».

Perché?
«Perché il fondatore, Enzo Ferrari, lo aveva detto chiaramente: la Ferrari è fatta anzitutto di persone. Abbiamo creato lavoro, +30% in 6 anni, e lanciato una serie di iniziative che puntano al benessere e alla soddisfazione: una gamma completa di servizi di welfare, un programma di azionariato diffuso, una successione di premi di risultato record, una formazione continua e la certificazione Equal-Salary a livello globale per la parità retributiva di genere. E poi il tema dell’ambiente…».

Cosa c’entrano le auto sportive con il pianeta?
«L’E-building, il nuovo stabilimento che abbiamo inaugurato la scorsa settimana, è la sintesi di un impegno che riguarda insieme le persone, la tecnologia e l’ambiente. Anche grazie ai suoi 3.000 pannelli solari, entro la fine dell’anno sarà interamente alimentato da energia rinnovabile, avvicinandoci a un obiettivo importante: creare auto straordinarie nel rispetto dell’ambiente, che portano nel mondo l’eccellenza italiana a partire da qui, a Maranello. Per questo stiamo rafforzando l’impegno che ci lega al nostro territorio, collaborando con la scuola fondata da Enzo Ferrari, l’istituto che porta il nome di suo figlio Dino».

Parlare di scuola significa pensare al futuro. Avanti che cosa vede?
«Quando ho iniziato a parlare con Benedetto Vigna, nei giorni in cui stavamo scegliendo il nuovo ad, ci siamo trovati d’accordo sui valori e sull’ambizione di costruire il futuro della Ferrari puntando molto sulla tecnologia e rimanendo sempre fedeli alle tre anime di Ferrari: le corse, le auto sportive e il mondo del lifestyle. In ognuno di questi ambiti abbiamo introdotto grandi novità in questi sei anni».

Partiamo dalle auto…
«Abbiamo realizzato modelli di grande successo che Ferrari non aveva mai prodotto nella sua storia. Come le Icona, serie speciali che si ispirano al nostro passato e che colpiscono per la loro bellezza e originalità, come vere opere d’arte. O la Purosangue, la prima Ferrari quattro porte e con quattro posti. O ancora la SF90 che porta in strada l’essenza di una supercar da competizione».

Veniamo alle competizioni: lei è obbligato a vincere in ogni campo. Un onore, un peso, una sfida?
«Una responsabilità, condivisa con chi lavora qui. Un’opportunità per migliorare sempre. Ci pensavo mentre scrivevo una lettera ai piloti che hanno vinto a Le Mans, dietro di loro ci sono tantissime persone che hanno lavorato con Antonello Coletta per darci il coraggio di tornare in competizioni che avevamo lasciato 50 anni fa, voglio ringraziarle tutte».

«La vela con Soldini 

Perché la vela (con Soldini), che bisogno c’era?
«È una bellissima sfida: con Giovanni siamo impegnati in un progetto completamente nuovo, che ci proietta nel futuro. Vogliamo creare qualcosa che non c’è, e che riguarda l’equilibrio fra uomo, tecnologia e ambiente. E poi c’è la parte lifestyle».

Sarebbe?
«C’è un enorme desiderio di Ferrari, da parte dei clienti e dei nostri tifosi. Nei parchi a tema e nei negozi puntiamo a dare loro un’esperienza e dei prodotti unici, che siano indiscutibilmente Ferrari. A Miami ho visto le tre anime della Ferrari convivere in totale armonia come mai prima, con la parte lifestyle totalmente integrata: la linea del nostro direttore creativo Rocco Iannone ha avuto un incredibile successo e i cappellini blu per i nostri tifosi sono andati immediatamente esauriti, proprio mentre il lancio della nuova 12 cilindri riscuoteva grande entusiasmo».

A proposito di armonia: il maestro Karajan diceva: «Non c’è sinfonia migliore di un dodici cilindri Ferrari», chissà che penserebbe di una Rossa elettrica. Non è un rischio?
«Un’altra grande opportunità, non è un obbligo né un rischio. Inventare è creare emozioni. Se ci volessero criticare potrebbero dire: “Perché non avete ancora prodotto un’elettrica?”. Ci siamo presi del tempo per fare la migliore elettrica possibile».

E il rumore?
«Il rumore è legato a un’emozione: Von Karajan diceva così perché era un grande amante della guida. Chi sarà al volante della nostra elettrica proverà emozioni altrettanto forti, in modo diverso. Anche il silenzio della natura può dare sensazioni forti, come nella vela».

«Newey? Va trovato il giusto momento»

In Italia, e non solo, c’è scetticismo sulle auto elettriche. Perché dovrebbe avere successo?
«Dipende da cosa viene proposto. Esco un attimo dal pianeta Ferrari: da qui al 2030 avremo vetture elettriche molto meno care, e quando arriverà quel momento non ci porremo neanche il problema della scelta. Tornando alla Ferrari: non ci sogneremo mai di togliere il motore dodici cilindri a chi lo vuole».

Cita sempre Enzo Ferrari. Perché, se non lo ha mai conosciuto?
«Ma l’ho studiato. Ho parlato a lungo con Piero di suo papà e con persone che hanno tanta memoria storica. Ho letto il suo libro, “Le mie gioie terribili”, e ascoltato racconti su di lui. Volevo avere ben chiari i suoi valori: la volontà di progresso, l’eredità da lasciare a chi verrà dopo con lo sguardo rivolto sempre in avanti».

E i suoi figli? Si appassionano di F1?
«Si sono entusiasmati della fantastica vittoria di Charles Leclerc a Monaco e anche dei trionfi a Le Mans».

La Ferrari in F1 non vince un titolo dal 2008. Quando finirà l’attesa?
«Lavoriamo sempre per quell’obiettivo: quest’anno abbiamo visto dei progressi e anche delle difficoltà. Abbiamo bisogno di continuare a crescere: va trovato l’equilibrio fra la valorizzazione delle tante persone capaci qui dentro, un aspetto che sottolineo con forza, e la possibilità di attrarre nuovi talenti. È stato bello sentire un’ingegnere appena arrivata dalla Red Bull parlare del nostro potenziale. È la conferma che c’è una grande voglia di venire in Ferrari».

Adrian Newey: il genio arriva o no?
«Ci sono tante valutazioni, bisogna fare attenzione. Va trovato il giusto momento in cui fare le cose, come è successo con Hamilton. Con lui c’è stata una convergenza di intenti che ha consentito di lavorare insieme. Esistono tante possibilità, Newey o altri, bisogna valutare bene se ci sono le condizioni. Vanno capiti quali sono il livello di motivazione e la capacità di creare cose nuove piuttosto che replicarne altre».

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umberto zapelloni

Nel 1984 entro a il Giornale di Montanelli dove dal 1988 mi occupo essenzalmente di motori. Nel gennaio 2001 sono passato al Corriere della Sera dove poi sono diventato responsabile dello Sport e dei motori. Dal marzo 2006 all'aprile 2018 sono stato vicedirettore de La Gazzetta dello Sport

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