
Joe Ramirez è stato per quasi vent’anni il coordinatore della McLaren. Dal 1984 al 2001 è stato l’interfaccia tra Ron Dennis e i piloti. In questi giorni è a Imola ai Minardi Days per ricordare Ayrton a 25 anni da quel maledetto primo maggio. Domenica mattina mi ha fatto l’enorme piacere di intervenire alla presentazione del mio libro (Ferrari, gli uomini d’oro del Cavallino. Giorgio Nada Editore Vedi qui). Ne è nata una bella chiacchierata su Ayrton.
Joe Ramirez era la faccia sorridente della medaglia McLaren. Se Ron Dennis rappresentava la faccia cattiva e spocchiosa, Jo partito dal Messico accompagnando i fratelli Rodríguez, ne era la faccia simpatica e umana. Soprattutto è una miniera di ricordi come si legge nel suo libro autobiografico pubblicato qualche anno fa (lo trovate alla Libreria dell’automobile).
Jo era arrivato in Europa, dal Messico nel 1962, per seguire i suoi amici Pedro e Ricardo Rodríguez, iniziando a lavorare in Ferrari come apprendista. Nel ’64 andò in Inghilterra a lavorare per la Ford, sulla GT40, prima di raggiungere Dan Gurney alla All American Racers nel 1966 e poi negli anni Ottanta approdare alla McLaren. Da meccanico a manager. Una vita da corsa e di corsa.
“Quando sono andato in McLaren nel 1984, Ron Dennis mi aveva detto, ‘so che hai voglia di mettere le mani sulla macchina, ma sei il capo, e sei tu che dici ai ragazzi cosa fare’. Era stato di grande aiuto, aver iniziato dal basso per poi salire con il mio lavoro. Avevamo sempre bisogno di avere il meglio di tutto, perciò quando volevo comprare qualcosa lui mi diceva ‘se ne hai bisogno, compralo, mi preoccuperò io del denaro’ e ho avuto un sospiro di sollievo, arrivando da piccoli team come Copersucar, Theodore e ATS. Mi ricordo, tornando a quei giorni in McLaren, che c’erano tantissime cose e tante persone”
“Senna portò in McLaren un nuovo modo di lavorare. Era un maniaco del dettaglio. Provava e riprovava cambiando solo piccole cose perché non voleva perdere quello che aveva già ottenuto. Ecco Prost in questo forse era migliore. Ma Alain dovette cambiare con l’arrivo di Ayrton, prima se ne andava presterò dai box, andava a giocare a golf. Quando ha capito che Ayrton se ne andava per ultimo dai box cominciò a imitarlo e volevano sapere tutto l’uno dell’altro…”.
“All’inizio il rapporto tra Senna e Prost funzionava anche se si guardavano con sospetto. Poi proprio qui a Imola esplose tutta la loro rivalità e gestirli divenne difficile. Però vi assicuro che è molto meglio dover gestire due campioni velocissimi come loro che due piloti lenti”.
“Quando arrivò il turbo Alain mi confessò: io proprio non riesco a guidare come lui, soprattutto in qualifica. Lui ha una molla nel piede… è pazzesco come tenga sempre alti i giri del motore. Non non riesco proprio a batterlo in qualifica”.
“Nel 1993 Ron Dennis mi affidò il compito di convincere Ayrton a non andarsene. Feci tante trasferte da solo con lui e suon fratello e la sua ragazza in aereo. Cercai di convincerlo. Ma lui voleva guidare la miglior macchina e in quell’epoca era la Williams… non ci fu nulla da fare…”
“Credo che Ayrton sarebbe arrivato in Ferrari prima o poi. Al 100%. Sapeva l’importanza della Ferrari, conosceva la sua storia e quanto contava vincere con una vettura di Maranello”.
“Anche a me la Ferrari fece un’offerta nell’anno in cui ingaggio Prost. Volai a Maranello, incontrai Fiorio, presi tempo per pensarci. Qualche giorno dopo Ron lo venne a sapere e mi chiamò nel suo ufficio: Joe se ti taglio le vene il tuo sangue esce rosso e bianco, tu hai la McLaren nel sangue. Quelle parole di fermarono, Ron mi concesse anche un aumento, ma non avrei mai guadagnato tanto quanto mi avevano offerto a Maranello… ma non ho rimpianti in Ferrari avevo già lavorato da collaboratore all’inizio della mia carriera europea”.