Auguri a Nigel Mansell. Il Leone compie 70 anni. Resterà sempre nel cuore dei ferraristi e degli apppassionati di corse in genere perchè è un pilota che ha sempre dato l’anima. Un uomo generoso. Più con gli altri che con se stesso.
Nigel era un leone in posta che spesso diventava agnellino quando attorno a lui i suoi avversari cominciavano a sfruttare brutti giochi politici. Ha sofferto con Piquet, con Prost e ovviamente con Senna. Però era una persona estremamente corretta. Ricordo bene la volta che due colleghi italiani inventarono di sana pianta un’intervista trasformando la chiacchierata con il suo manager in un botta e risposta con lui. Nigel li aspettò sotto la tenda della Ferrari (allora non si usavano i motor home) e non li fece entrare: con quei signori non parlo, tanto a loro non serve sentirmi davvero per scrivere.
Ecco il ritratto che gli ho dedicato nel mio La Formula 1 in 50 ritratti (edizioni Centauria). Ecco anche il disegno di Roberto Rinaldi che ha arricchito quel libro.

Meglio un giorno da leone che cento da pecora. Nigel Ernest James Mansell non per altro è soprannominato Leone. È diventato campione del mondo a quasi 40 anni, ma sarebbe stato profondamente ingiusto non avesse trovato in coda alla carriera la macchina giusta per conquistare quel titolo arrivato addirittura in agosto, con 5 gare ancora da disputare.
Nigel sapeva come farsi amare. Dalla moglie Roseanne che arrivò a ipotecare la casa per finanziargli le corse, ma soprattutto dai tifosi. Inglesi e ferraristi. Correva senza risparmiarsi e senza risparmiare la sua monoposto. Spremeva tutto dall’uomo e dalla macchina e se la macchina lo mollava non si dava per vinto e scendeva a spingere la sua monoposto, come fece nel 1984 a Dallas quando per tentare di far tagliare il traguardo alla sua Lotus, rimasta senza benzina, si slacciò le cinture e scese a spingere svenendo in pista per il gran caldo. C’era ancora qualcuno che lo chiamava “mansueto”… Cambiò idea.
Di Nigel più di quel mondiale trionfale con una Williams imbattibile e del titolo IndyCar conquistato in America l’anno successivo (primo a riuscirci al debutto), restano impresse generosità, coraggio, velocità e anche certe scene che mandava in onda quando la macchina lo mollava. Era un leone e non un politico. Piquet e Prost ne hanno approfittato, ma il suo modo di correre e di vivere gli è valso per farsi davvero amare.
Prima di arrivare al titolo ha dovuto soffrire e lottare, vedere una gomma scoppiargli a 19 giri dal mondiale, schiantarsi contro un muro in Giappone all’inizio di un weekend decisivo… ma quando sembrava che il campionato ormai non lo volesse tra i re con il ritiro già annunciato dopo l’ennesima défaillance meccanica mentre era in testa al suo Gp di casa a Silverstone con la Ferrari, è tornato in Williams (tre le gare vinte in 2 anni a Maranello) e ha trovato un’auto straordinaria…che l’anno dopo – guarda un po’ – ha dovuto lasciare a Prost, emigrando in Usa per diventare il primo eroe dei due mondi. L’unico a detenere in contemporanea (per una settimana) la doppia corona.