Merzario 80, auguri Arturo

Arturo Merzario oggi compie 80 anni. Gli auguri sono d’obbligo per un uomo che è stato un mito delle corse attraversando tutte le epoche dagli anni Sessanta ad oggi. E ritrovarlo in grande forma a 80 anni è un piacere immenso. Perchè con lui si può davvero chiacchierare senza annoiarsi mai. Ecco l’intervista che gli ho fatto per il Giornale.

“Sono un uomo fortunato. Sono qui a festeggiare i miei 80 anni con mia moglie, sempre la stessa da quasi 60 anni, i miei figli, i nipoti, la famiglia allargata. Ho detto più fortunato, non più bravo”, Arturo Merzario centra subito l’argomento. Per un uomo che ha cominciato a correre nel 1962 non è per nulla scontato arrivare fin qui.

Lui c’era quando le auto erano pericolose e gli incidenti mortali. Ha visto morire davanti ai suoi occhi un amico come Ignazio Giunti, ha salvato dalle fiamme un “nemico” come Niki Lauda. “Io ho rischiato di finire come Frank Williams che poteva muovere solo la testa. Molto peggio del Clay (che era Regazzoni n.d.r.). A Magione nel 1991 con i prototipi mi ruppi la seconda e la terza vertebra cervicale, muovevo solo gli occhi. Poi è arrivato un mio amico specialista, professore a Terni, mi ha messo la corona di Cristo, un anello attorno alla testa con dei fili, un busto di gesso e un millimetro al giorno mi ha rimesso in piedi, mi ha rifatto l’assetto come si fa con le auto. E dopo sei mesi ero già in pista. Se credo in Dio? Certo, anche se non vado in chiesa perché i miei amici parroci ormai sono morti tutti. Però certo quello è stato un miracolo”.

Ripartiamo dal via: chi è stato Arturo Merzario?

“Ci vuole una settimana…”.

Cominciamo dall’inizio.

“Da Gesù Bambino quindi”.

O da Babbo Natale, come preferisce.

“No, no io sono della generazione di Gesù Bambino, Babbo Natale e poi Santa Claus non lo avevano ancora inventato. Gesù Bambino prima mi ha portato una biciclettina, poi un bellissimo camioncino in legno, mica quelle cose radiocomandate con cui giocano i miei nipoti”.

Dal camioncino alle corse…

“Oggi i ragazzi hanno in testa solo il telefonino, io ho sempre avuto in testa solo la voglia di fare la patente e cominciare a guidare. Io ho cominciato con il camioncino di legno e mi è venuta una passione che è ancora tutta qui”.

Ma non è che voleva fare il ciclista?

“Quando avevo 10-11 anni passavano sotto casa Coppi, Bartali, Magni io mi mettevo dietro e salivo fino al Ghisallo con loro. Gino e Fiorenzo poi li ho anche conosciuti. E alla chiesetta del Ghisallo mi sono sposato, l’unico matrimonio che hanno fatto lassù”.

Anche l’unico suo, un bel record visto il mestiere che ha fatto?

“Il mestiere che faccio ancora scusi, perché io corro ancora con le auto storiche, anche con le Formula 1.”.

Scusi, ha ragione. Torniamo alla moglie.

“Fittipaldi ne ha avute quattro o cinque, Piquet non parliamone, Lauda è andato in tripla cifra. Io sempre la Mami da quasi 60 anni. Solo io, Andretti e Stewart abbiamo tenuto le stesse mogli per tutta la vita…e guardi che di occasioni in giro per il mondo ne ho avute, ma per me la famiglia è sacra.”.

Non indaghiamo. Torniamo in auto: è vero che era l’unico a dare del tu a Enzo Ferrari?

“Quando l’ho visto per la prima volta gli ho detto “Ciao Commendatore come stai?”. E ho continuato con il tu, anche quando ho cominciato a chiamarlo Grande Vecchio Saggio. Ma la mia non era mancanza di rispetto. Io ero abituato con Carlo Abarth e poi noi a Civenna eravamo abituati così, davamo de lei solo se non ci sentivamo amici e volevamo mantenere le distanze. Noi ragazzini del paese davamo del tu a Calvi, Sindona e a Bonelli, quello di Tex … tutta gente a cui papà aveva costruito la casa”.

Ma come era Enzo Ferrari?

“Una gran figlio …”

Bip.

“Mi diceva in modenese i piloti vanno e vengono, ma la mia fabbrica sta sempre qui. In pole position devono esserci sempre gli interessi dell’azienda”.

Perché è finita con la Ferrari?

“La storia sarebbe troppo lunga da raccontare, ma sono stato io che ho detto di no a Ferrari, non il contrario. Ancora un po’ e al Grande Vecchio gli viene un infarto. Mi disse che ero il primo pilota a rifiutare un contratto con la Ferrari. Sapevo che non ci sarebbe stato futuro per me con lo staff di ingegneri che avevano mandato da Torino”.

Che anni sono stati?

“Io sono stato lì cinque anni dal 1969 al 1973 e rimango l’ultimo ad esser andato sul podio di Le Mans proprio 50 anni fa e adesso ci tornano finalmente”.

Che vita facevate?

“Non è come adesso che hanno l’hotel fuori dalla pista, il motorhome, i massaggiatori, il cuoco, la dieta… allora si mangiava un panino appoggiato ad una pila di gomme e in trasferta si andava in machina in quattro con i pezzi dell’auto nel bagagliaio”.

Però vi divertivate davvero.

“Alla base c’era una super passione. E prima di tutto pensavamo a divertirci. Il denaro arrivava dopo, ma l’obbiettivo non era farsi il jet privato, la barca più grande”

Lei si è fatto pure una scuderia tutta sua

“L’errore più grande della mia vita, ho avuto debiti per 10 anni”.

Chi è stato il pilota più forte contro cui ha corso?

“Jim Clark. Io ho cominciato che lui e Graham Hill, Jochen Rindt erano già in pista. Clark e Hill con la Ford Cortina, Rindt con la Giulietta, io con il millino Abarth. Allora correvamo tanto anche con il turismo”.

Chi era il più simpatico?

“A me piaceva molto Jo Siffert perché era terra terra come me. Anche Hill era simpatico, era un burlone, non come suo figlio, ma aveva quell’impronta austera dell’aviatore. Poi faceva anche lui le cag.. come noi, ma sempre stando un po’ sulle sue, come Jackie. Clark invece era come Chris Amon, era un allevatore di pecore, più alla mano. Hill e Stewart oggi diremmo che sono un po’ dei fighetti…”.

Ma qualcuno antipatico c’era?

“Eh… non ti basta il giornale a raccontarli tutti. Ma sai perché diventano antipatici? Perché pagano per correre. Tutta colpa del Bernie (Ecclestone) che diceva ai suoi amici garagisti… date il secondo sedile a chi vi paga… Io discutevo il milione in più o in meno d’ingaggio e loro arrivavano con la valigetta Io sono stato l’ultimo ingaggiato e pagato dal Grande Vecchio. Dopo c’è stato solo Gilles. Gli altri li pagava tutti lo sponsor delle sigarette ”.

Lauda non le stava tanto simpatico?

“Un amico-nemico. Mi stava un po’ sulle scatole perché mi aveva soffiato un campionato europeo. Poi voi ci avete un po’ marciato su, ma certo non avete inventato nulla. Dopo l’incidente ci sono voluti 30 anni per diventare amici”.

Raccontiamo ancora una volta come andò?

“Quando ho visto l’auto tra le fiamme. Non ci ho pensato su due volte. Ma se non sveniva non lo salvavo… Si muoveva, si dimenava per uscire con le fiamme sotto il sedere e io non riuscivo a slacciare le cinture. Poi è svenuto e l’ho liberato. Non so come uno magrolino come me, sia riuscito a tirarlo fuori. L’adrenalina mi ha trasformato in superman”.

Poi gli ha fatto anche la respirazione artificiale?

“Il massaggio e la respirazione. Lo avevo imparato a militare, facevo il corso di primo soccorso per avere cinque giorni di permesso premio”.

Però non l’ha mai ringraziata davvero e solo trent’anni dopo l’incidente avete fatto la pace.

“Merito di Bernie. Eravamo al Nurburgring. E lui mi dice come on, vieni con me. Mi carica su una Mercedes e mi porta là dove c’era stato il fuoco di Niki. Ci sono una troupe di Rtl e Niki. Se lo sapevo magari non ci andavo. Poi Bernie mi dà un orecchio di plastica e mi dice dai dallo a Niki, digli che l’hai trovato nel bosco. Per un attimo ho avuto la tentazione di mandare tutti a quel paese. Poi invece sono stato al gioco e da quel momento da nemici siamo diventati amici. Io continuavo comunque a chiamarlo stronzo e lui mi mandava i whatsupp firmandosi il tuo amico stronzo”.

E oggi chi le piace?

“Dal primo giorno che ho visto Hamilton vincere a Monza la gara di Gp2 ho detto questo qui farà strada. Mi ricordo che lo accompagnai con Bernie alla partenza. Ron Dennis che era il mio capo meccanico alla March, lo ha capito e lo ha tirato su. Come Vettel e Alonso, bravi e con gente che ha creduto in loro. Ma anche io avevo avuto chi credeva in me…

E tra i giovani?

“Verstappen ha già superato Hamilton. Ma prima di arrivare ha perso un sacco di gare e almeno un mondiale per la sua esuberanza da ragazzino. Aveva il piede giusto, ma non aveva nel team una persona come era stato Niki per Hamilton. Lui gli ha insegnato che per vincere devi anche imparare a perdere. Non devi dimostrare ad ogni giro di essere il migliore”.

Devi essere un po’ ragioniere.

“Stewart è stato il primo ragioniere, copiato poi da Niki che è diventato maestro. E poi è arrivato il professor Prost che ha messo insieme Stewart e Lauda. Ma Niki è stato fondamentale per Hamilton che prima aveva perso un mondiale andando contro un muro mentre rientrava ai box”.

E Leclerc le piace?

“Sì, ma la sua rovina è che lo hanno fatto campione ancora prima di vincere la prima gara”.

Auguri Arturo. E grazie di esserci ancora.

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umberto zapelloni

Nel 1984 entro a il Giornale di Montanelli dove dal 1988 mi occupo essenzalmente di motori. Nel gennaio 2001 sono passato al Corriere della Sera dove poi sono diventato responsabile dello Sport e dei motori. Dal marzo 2006 all'aprile 2018 sono stato vicedirettore de La Gazzetta dello Sport

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