Trent’anni fa il debutto di Todt in Ferrari. L’intervista

Magny Cours, 1 luglio 1993, Jean Todt fa il suo esordio da responsabile della gestione sportiva della Ferrari. Viene accolto con un po’ di scetticismo. Un altro francese, che tra l’altro si crede Napoleone, mandato a salvare l’Italia dei motori. Jean ci metterà un po’. Ma alla fine quella Ferrari divenne un dream team, un’ispirazone per tutti.

Ecco la bella e lunga intervista che mi ha concesso e che (con qualche taglio) appare oggi su il Giornale

Monsieur Todt si ricorda dove era trent’anni fa?

“Mi lasci pensare…”.

Il primo luglio 1993 esordì a Magny Cours alla guida della Ferrari.

“Se non me lo ricordava lei non ci avrei pensato. Il primo luglio ho un altro anniversario da festeggiare”.

Ci racconti.

“Quello con Michelle. Stiamo insieme dal 2004”.

Auguri e complimenti a Lady Oscar. Era davvero emozionato nella notte in cui a Hollywood sua moglie ha ricevuto la statuetta. Quasi come nel 2000 sul podio di Suzuka con Michael?

“Il bello della vita è che le emozioni sono sempre diverse. Quando assisti al successo di una persona per cui provi amore o affetto è come se avessi vinto tu. E vale lo stesso se quella persona soffre”.

Ha fatto la storia anche Michelle, come lei con la Ferrari.

“No Michelle mi ha superato. Abbiamo una nuova campionessa del mondo. Oscar World Champion. Non è stata una cosa da poco. Per la prima volta il trofeo più importante del cinema è stato assegnato a un’attrice asiatica”.

Il mio pezzo di 30 anni fa su il Giornale

Torniamo a quel luglio di trent’anni fa: arrivando in Ferrari si aspettava di riuscire a vincere così tanto?

“Non me lo sarei mai aspettato. Ricordo qualche amico che mi diceva: non resisterai più di due anni. Sono rimasto fino alla fine di marzo 2009, dopo che avevo tentato di andarmene due volte, nel 2004 quando poi mi nominarono amministratore delegato e nel 2008 quando mi chiesero di restare ancora un anno”.

Che cosa ricorda della sua prima volta a Maranello?

“La prima volta fu molto prima, negli anni Settanta. Accompagnai Jean Guichet di cui ero copilota. Ricordo che il commendatore gli disse: ma come, di solito vieni con delle belle donne, con chi sei venuto questa volta? Arrivammo con la sua Mercedes 600 passo corto”.

Allora è un vizio quello di presentarsi in Mercedes. Fece lo stesso anche a casa di Montezemolo?

“Lui lo dice sempre. Ma gli chieda che macchina guida adesso”.

Incontrò Ferrari altre volte?

“Alla fine degli anni Ottanta dopo che avevamo vinto due mondiali rally di fila con la 205. Attraverso Piccinini gli chiesi la prefazione di un mio libro su quei successi. Mi ricevette a pranzo a Fiorano con Gozzi, Pieri e Piccinini e ricordo che mi disse (e poi scrisse nella prefazione): per me Peugeot è brava solo a fare dei macinini da pepe…”.

Poi venne la chiamata da Montezemolo.

“Fu Ecclestone nel luglio 1992 a dirmi: la Ferrari potrebbe avere bisogno di te, chiama Montezemolo. Ci sentimmo, lo incontrai una prima volta, poi venne lui a trovarmi a Parigi a settembre durate il Salone dell’Auto. Abbiamo discusso fino a fine anno e poi a marzo ho firmato…”.

Ed eccoci al primo luglio 1993.

“Ho lasciato il mio ufficio in Peugeot, staccando i quadri dai muri alle 11 di sera del 30 giugno. Il mattino dopo Sante Ghedini venne a prendermi a casa portandomi la divisa e in macchina arrivammo a Magny Cours dove vi feci tutti contenti parlando già un po’ di italiano…”.

Non fu un grande esordio.

“Fu un disastro. La prima decisione infatti fu di lasciare la squadra in  pista per due giorni di prove supplementari”.

Non fu un inizio semplice.

“La cosa di cui sono più orgoglioso è di aver preso io la decisione di andare via e di non esser stato mandato via. Tante volte negli anni difficili ho pensato che non sarebbe durata”.

E qualche volta da Torino hanno chiesto la sua testa.

“Montezemolo mi fece leggere una lettera in cui glielo chiedevano. Ma lui mi difese, come mi difese anche Michael che un giorno disse: “Se mandate via lui, me ne vado anch’io”. Ma sa perché Montezemolo, a cui voglio bene, non mi cacciò? Perché non aveva trovato uno meglio di me”.

Qual era il segreto di quella squadra?

“Fare le scelte giuste e ambiziose. Saper resistere alle pressioni interne come esterne. Avere la stabilità. Era una squadra unita, costruita con uomini bravissimi. Ross, Rory, prima Martinelli e poi Simon ai motori. Ognuno aveva il suo spazio. E non era Michael a fare il team principal come ha detto qualcuno. Era un grande leader, ma in officina c’eravamo noi. Non è stato comunque facile perché dal 1993 alla vittoria, abbiamo dovuto attendere tanto”.

Il primo Mondiale costruttori nel 1999, il primo Mondiale piloti nel 2000…

“Ma non dimentichiamo il 1997 quando abbiamo perso a 10 minuti dalla fine per una cazzata di Michael. Lo dico con affetto, ma Michael in carriera ha fatto due-tre cose che non avrebbe dovuto fare e gli sono costate il mondiale. Nel 1998 poi abbiamo perso per una truffa, per l’incidente causato da Coulthard in Belgio”.

La Ferrari è anche tornata a contare politicamente.

“E’ un’altra cosa di cui sono orgoglioso. Abbiamo ridato alla Ferrari quel peso politico che aveva perso, nonostante fosse l’unico costruttore a correre e a produrre supercar. La Ferrari è il simbolo della Formula 1, ma all’epoca aveva perso la sua influenza a livello internazionale”.

E’ stato importante anche avere un presidente presente che sapesse di corse.

“E’ stato importante avere un presidente che non ascoltasse chi dall’esterno voleva cambiare le cose. Montezemolo lo conosciamo, ogni tanto gli saltavano i nervi. Ma mi ha sempre protetto e lasciato fare il mio lavoro”.

Si racconta fosse una stakanovista.

“Non ho mancato un giorno d’ufficio. Andavo al lavoro anche con le stampelle dopo che mi ero rotto una gamba sul ghiaccio. E quando mi prese un brutto herpes mi feci montare un letto in ufficio”.

Chi è Jean Todt trent’anni dopo?

“Lo stesso con i capelli bianchi. Con degli interessi diversi. La mia carriera mi ha aperto tante porte, anche se poi certe porte devi spingerle per aprirle. Da copilota sono diventato capo delle corse in Peugeot. Abbiamo vinto tutto nei rally, siamo passati alla Dakar e abbiamo vinto tutto, siamo passati ai prototipi e abbiamo vinto tutto. Mai avrei pensato di lasciare la Peugeot. Avrei voluto crescere all’interno dell’azienda cambiando ruolo. Non si sono riuscito ed è arrivata la Ferrari”.

La Ferrari le ha cambiato la vita.

“E’ vero, perché la Ferrari è di un’altra dimensione. E in Ferrari abbiamo vinto tutto. Poi ho cercato di restituire un po’ di quello che avevo ricevuto. Prima alla Fia e poi all’Onu e poi fondando con Saillant l’Istituto del Cervello e del Midollo Spinale che oggi ha mille ricercatori. Sono presidente della Suu Fondation in Birmania e dell’ International Peace Institute a New York”.

Guarda ancora le corse?

“Non potrei farne a meno. Guardo tutto. Dai rally, alla F1 a Le Mans e non perdo un gran premio. Il mondo non mi manca, ma non potrei mancare una corsa.”.

Bello veder vincere la Ferrari a Le Mans.

“Bellissimo. Avevo spinto io John Elkann a far tornare la Ferrari. Finalmente ha avuto il coraggio di rimettere la Ferrari in gioco”.

Ha mai fatto caso che le due persone più importanti della sua vita si chiamano Michelle e Michael…

“Michelle è l’amore della mia vita. Michael è la mia famiglia. Ma non dimentichiamo mio figlio Nicholas. Sono molto orgoglioso di lui e di quello che fa con descrizione e professionalità. Se non fosse per lui Leclerc non sarebbe in Formula 1”.

Crede che Charles possa vincere il Mondiale?

“Dipende tutto dalla macchina. Il pilota è capace, ma senza macchia non può nulla. Michael senza la Ferrari (o prima la Benetton) non avrebbe vinto. Il pilota è importante, ma non basta. Se Verstappen guidasse la Ferrari e Leclerc guidasse la Red Bull, avremmo un campione diverso”.

Le piace la Formula 1 gestita dal suo ex allievo Domenicali?

“Ha cambiato marcia. Ricordo che quando lanciammo la Formula E qualcuno pensava che avrebbe potuto superare la F1. Ma oggi anche grazie a Drive to Survive, la Formula 1 è uno sport inavvicinabile, è su un altro pianeta. Ci sono più soldi per tutte le squadre che sono più forti. Certo vorremmo avere più incertezza, ma è sempre stato un po’ così”.

Crede che Vasseur sia l’uomo giusto per far risorgere la Ferrari?

“Onestamente non voglio entrare in questo discorso”.

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umberto zapelloni

Nel 1984 entro a il Giornale di Montanelli dove dal 1988 mi occupo essenzalmente di motori. Nel gennaio 2001 sono passato al Corriere della Sera dove poi sono diventato responsabile dello Sport e dei motori. Dal marzo 2006 all'aprile 2018 sono stato vicedirettore de La Gazzetta dello Sport

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