I suoi ragazzi corrono e vincono con la sua squadra con la sua Academy. Ma Valentino Rossi, papà Vale, non ha smesso di divertirsi in pista. In questo fine settimana e’ di scena a Monza tanto per preparare il sogno Le Mans.
Ecco un po’ di rassegna stampa



Valentino Rossi fa notare che è vicino a compiere 40 anni di carriera su un motore. Ma non aveva smesso? Sì e no. È sceso da una moto, ma batte ancora sentieri più o meno periferici su quattro ruote. Così dall’anno del suo debutto sui kart fino a oggi, fanno quasi quaranta.
Ne ha parlato in una intervista con Matteo Aglio che apre stamattina la sezione sportiva de la Stampa. Prossimo obiettivo: la 24 Ore di Le Mans. Che non vuole definire la sua ultima sfida. «Spero di no (ride). Ho sempre avuto in mente di correre in macchina dopo le moto, ora bisogna capire dove potrò arrivare, quello che mi frega è che sono vecchio (ride). È una bella sfida, il team WRT per cui corro mi ricorda una squadra di MotoGp e Bmw crede nel mio progetto. Farò un test con l’Hypercar, dobbiamo solo decidere quando e dove».
Nel resto della chiacchierata si sofferma molto sulla popolarità e sulla sua declinazione contemporanea attraverso i social. Questi sono i passaggi:
Jacobs ci aveva detto che lei è il suo riferimento per la popolarità che ha raggiunto e per come l’ha gestita.
«Ci sono anche tanti vantaggi, in Italia sono portato su un palmo di mano e la gente mi vuole bene. Ho sempre cercato di rimanere una persona normale, quello che sono. Serve organizzazione, modificare delle scelte di vita, a volte è pesante, ma non è qualcosa che puoi scegliere. Non lo puoi cambiare, a meno di fare come Battisti o Mina e chiudersi in casa».
Si sente una sorta di “ultimo dei Mohicani”? Uno sportivo nato senza computer e arrivato nell’era dei social, anche se con le sue gag aveva comunque un’eco mondiale.
«La mia è stata una delle ultime generazioni che si ritrovava al bar, andava in giro con i motorini truccati, faceva le macchinate per andare al cinema, c’erano le compagnie. Dopo cena, uscivi di casa e andavi al punto di ritrovo, senza chiamare nessuno. È una grande perdita, è cambiato tutto e mi ritengo fortunato».
Lei non è sempre stato politicamente corretto, con i social cosa le sarebbe successo?
«Ora qualsiasi cosa dici rimbalza su 300 siti e ti porti dietro le conseguenze per almeno due settimane. Fai un’intervista di mezz’ora e poi si cerca il titolone per fare click, questo dà fastidio. Cosa succede? C’è un finto politically correct tra gli sportivi, sono tutti amici, si abbracciano. È bello? A me piaceva di più prima, quando si diceva quello che si pensava. È umano che ti stia sulle scatole chi fa la tua stessa cosa come o meglio di te, non importa se sei un dottore, un pizzaiolo, un pilota. Dovere nasconderlo sempre fa diventare tutto più finto».