Rassegna stampa: la #Ferrari sorprende la stampa. Non solo in Italia

Un po’ di rassegna stampa dopo il secondo posto di Leclerc in Austria, la sorpresona della domenica. Grazie https://www.loslalom.it/

E’ stato indubbiamente un gran premio vivace. Mundo Deportivo ha sintetizzato: “Benedetta follia”. Ma com’è possibile, usando le parole di Alessandra Retico su la Repubblica, che Leclerc “da una Ferrari che arranca come un triciclo, spreme un’astronave da kolossal”?

Un podio piovuto dal cielo, lo chiama l’Équipe. Giorgio Terruzzi su Corriere della sera ha scritto che Leclerc ha limato “ogni decimo nonostante una macchina da impotenza sulle rette, cacciando in pista una ferocia già proverbiale per sorpassi tanto azzardati quanto riusciti, dimostrando quanto ogni pronostico può essere smentito”. Ma parla pure di graziosi regali arrivati da mezzo mondo. “La voglia di fargli subito un monumento in zona Maranello – sono ancora parole di Terruzzi – viene dalla cupezza della vigilia. Va frenata tenendo conto del k.o. di Verstappen, della penalità inflitta a Hamilton, della presunzione della Racing Point e di Perez. Vantaggi non consueti”.

Io su il Giornale ho commentato: “Dategli una Ferrari che sia una vera Ferrari. Date a Leclerc una macchina vincente e al resto penserà lui. Un secondo posto in condizioni così è un regalo che non va sprecato. L’affidabilità giocherà una parte importante in questo campionato e se i motori Ferrari sono sembrati decisamente spompati, quelli Mercedes non sono sembrati affidabili al cento per cento con Bottas e Hamilton che hanno dovuto giocare con le temperature e Perez finito arrosto”.

Leo Turrini sul Resto del Carlino commenta con realismo: “Una domenica da Fantozzi si è trasformata, se non altro aritmeticamente, in un mezzo capolavoro. Detto questo, non ci siamo. In Austria la Ferrari andava più piano anche della McLaren e della Racing Point. Di sicuro, poiché nello sport contano i risultati, Binotto può respirare. Ma la Mercedes sta su un altro pianeta, senza safety Bottas avrebbe forse doppiato Leclerc”.

 A proposito dei tre interventi delle safety car, Mauro Coppini su Corriere dello sport-Stadio ha parecchio da eccepire. “Forte dei finanziamenti che hanno salvato la Formula 1 dal fallimento, ha imboccato con decisione quell’American Way che interpreta la safety car e i meccanismi di penalizzazione alla stregua di generatori di spettacolo. Nella fase finale del GP d’Austria la vera protagonista è stata una Mercedes. Non quella di F1 ma la berlinetta stellata della direzione di gara. Non sempre a proposito. E come criticare chi in occasione della uscita di pista della Haas di Kevin Magnussen ha commentato: Non si è mai vista una safety car uscire per una monoposto parcheggiata alla periferia di Vienna”.

E Vettel? Jacopo D’Orsi su la Stampa gli ha dato 4 in pagella. “Vero che la Ferrari ha cominciato la stagione in salita, ma arrivare penultimo al volante di una Rossa, davanti al solo debuttante Latifi, è un’impresa al contrario. Per giunta dopo aver provato a speronare proprio Sainz, guarda caso il pilota scelto per sostituirlo”. Tommaso Lorenzini su Libero ha invece scritto dell’ex ferrarista campione del mondo 2007 Raikkonen: “Che pena veder uscire di pista Kimi perché non gli hanno avvitato una ruota dopo un pit stop”.

Il Daily Mail celebra Lando Norris, 20 anni, 7 mesi e 22 giorni il più giovane pilota britannico nella storia della F1 a essere salito sul podio. C’è riuscito con due anni d’anticipo su Lewis Hamilton. Il terzo della storia in assoluto, sottolinea l’Équipe

Annunciato, atteso e fotografato. I 20 piloti hanno messo una maglia nera con la scritta “end racism” e sulla griglia di partenza si sono inginocchiati in segno di protesta contro il razzismo dopo l’omicidio di George Floyd. Tranne in sei: Leclerc, Raikkonen, Verstappen, Kvyat, Giovinazzi e il futuro ferrarista Sainz. I social hanno criticato, Matteo Salvini ha apprezzato: «Mai arrendersi e mai piegarsi, sempre avanti a testa alta!». Marco Letizia su Corriere della sera scrive che “non è dato sapere se Leclerc prevedeva di scatenare un simile caos. È vero, oggi inginocchiarsi non costa niente, ma non farlo può costare qualcosa, stima, popolarità se non altro, e quindi bisogna essere ben motivati per farlo. I sei «renitenti» evidentemente lo erano. Le voci dal paddock parlano di alcuni piloti che si sono sentiti tirare per la giacchetta dalla foga di Hamilton. Che non aveva la risposta pronta a ogni appunto. «Che cosa diremo sui ragazzi di Hong Kong quando torneremo a correre in Cina?», gli avrebbe rinfacciato un collega”. Stefano Mancini su la Stampa commenta che il messaggio tra le righe era: “Io sono contro il razzismo, ma non sono qui fare quello che dice Hamilton”.

Benny Casadei Lucchi su il Giornale elogia Leclerc e i cinque che hanno dato “il via alla ribellione contro il pensiero unico che in queste settimane ha trasformato una sacrosanta rivendicazione di parità e una necessaria quanto tardiva presa di coscienza in un movimento dai troppi eccessi, nel migliore dei casi, e troppi estremismi nel peggiore. Un gesto pensato e coraggioso, anche di rottura, omologata al politicamente corretto. Prima o poi vivremo però il giorno in cui, senza pugni, senza gente in ginocchio o in piedi, tutti risponderanno come fece lo sprinter Filippo Tortu anni fa, quando gli chiesero un commento sulla staffetta azzurra femminile tutta di colore che aveva vinto i campionati europei: «Tutta di colore? Non me ne ero accorto»”.

Emanuela Audisio su la Repubblica ha scritto che “in uno sport ricco, costoso, tecnologicamente avanzato quello che importa è il colore dei soldi. A forarti le gomme più che la barriera culturale è quella finanziaria, se sei povero sei lento, non competitivo. Se 19 piloti fossero stati neri e solo uno bianco forse ci sarebbe stata una diversa reazione, ma è vero che non è dal canto dell’inno che si misura la decenza di un atleta. C’è che questa è una nuova partenza”.

Ma Lewis Hamilton non è né Muhammad Ali né Colin Kaepernick. Anche se ha trascinato la F1 a prendere posizione. La pensa così Christoph Becker, che sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung ha eccepito non sulla diversità di passaporto britannico né sulla condizione economica agiata del pilota ma sulla posta che mette in palio in questa storia. Cioè nulla. Ali lasciò la sua corona mondiale per protestare contro l’intervento in Vietnam, Kaepernick non ha più avuto una squadra dopo la contestazione. “Hamilton non può perdere. La sua rabbia non lo mette in pericolo. La Mercedes aveva già lanciato una campagna per annunciare il cambiamento nel gruppo, un programma entro la fine dell’anno che incoraggi i non bianchi e le donne a portare diversità nel team. Questa è la differenza principale: la rabbia di Hamilton mette in moto la macchina già ben oliata di un’azienda, il cui marchio è uno dei loghi del capitalismo mondiale da oltre 100 anni”.

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umberto zapelloni

Nel 1984 entro a il Giornale di Montanelli dove dal 1988 mi occupo essenzalmente di motori. Nel gennaio 2001 sono passato al Corriere della Sera dove poi sono diventato responsabile dello Sport e dei motori. Dal marzo 2006 all'aprile 2018 sono stato vicedirettore de La Gazzetta dello Sport

1 commento

  1. Sig Zapelloni
    Grazie per questi riassunti.
    C’e’ un po per tutti.
    Molto interessante l’ultimo.

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