Rassegna stampa ungherese tra il giusto tributo a Sebastian Vettel e i sogni della Ferrari che punta al riscatto immediato con Leclerc e Sainz. motori accesi per l’ultimo Gp prima delle vacanze.
Non vince un mondiale da nove anni, non vince un Gran Premio da tre. Stefano Mancini su La Stampa scrive “non è il talento che è invecchiato a 35 anni: è la voglia di spremerlo e di sfruttarlo al limite che si è esaurita. Diceva Enzo Ferrari che i piloti perdono un secondo a figlio. La storia racconta che Schumacher ha messo sette titoli in bacheca malgrado lo aspettassero a casa due bambini, e Hamilton ne ha vinti altrettanti senza paternità. Forse nel caso di Sebastian il Drake aveva ragione. Il nuovo look, i capelli lunghi e la barba, i messaggi pacifisti, l’ambientalismo, erano tutti segnali di un processo interiore in cui cambiano ritmi e odori della vita, «l’aria aperta, la natura e le sue meraviglie, il cioccolato, l’aroma del pane», senza la pressione della pista”.
Alessandra Retico su Repubblica ricorda come “in questi anni, Seb si è speso in campagne ambientali, per la salvaguardia delle api e dell’agricoltura biologica, per i diritti Lgbt, contro la guerra” e adesso dunque “Seb ha scelto la vita”.
Daniele Sparisci sul Corriere della sera ricorda che “tedesco di Heppenheim, il Seb bambino frequentava la pista di Kerpen, la città del dio Michael. Idee chiare, perfezionista al limite dell’ossessione. Come quando era a Maranello: pur parlando un ottimo italiano, si esprimeva in inglese perché si vergognava di sbagliare qualche vocabolo. Se fosse per lui al suo posto sull’Aston Martin ci metterebbe Mick Schumacher, ma per il suo sedile c’è la ressa”.
Giorgio Terruzzi, sempre sul Corriere, lo definisce una immagine sdoppiata. “Un pilota in declino; un uomo in costante evoluzione. Il sorriso di un tempo è ricomparso a bordo di auto di ieri. Ha avuto tutto e in fretta. Forse troppo. Quando è così, può succedere che la fame diminuisca, porti altrove. Le corse perdono un protagonista amatissimo, ma hanno avuto un bimbo prodigio capace di diventare adulto”.
Fulvio Solms sul Corriere dello sport-stadio dice che “ha sorpreso tutti. Non tanto per la notizia, quanto per la modalità dell’annuncio: una videolettera minimalista. In bianco e nero, voluta perché ogni dettaglio parlasse di lui e rappresentasse la vera essenza di Seb. Pantalone nero e maglietta girocollo nera, come un mimo. Sgabello nero, parete bianca. Barba incolta e capelli lunghi ravviati con un colpo della mano: il suo look 2022 di pilota già stufo della Formula 1 a 35 anni”.
Su il Giornale ho scritto che “ci mancherà l’uomo più del pilota. Sebastian Vettel ha dei numeri da leggenda, ma la sua è una leggenda esagerata e bugiarda come riesce a esserlo ogni tanto la Formula 1. Quando guardi l’Albo d’oro del campionato del mondo e vedi che Seb ha quattro titoli, due in più di gente come Alonso o Niki Lauda, uno in più di Jackie Stewart, quattro in più di Stirling Moss, capisci che quell’Albo d’oro è bugiardo come una moneta da cinque euro. È stato al posto giusto nel momento giusto”.
Nel suo spazio blog Profondo Rosso, Leo Turrini ha scritto: “Anche io, più di una volta!, mi sono chiesto quanto, come e se sarebbe cambiata la carriera di Seb Vettel senza l’errore di Hockenheim 2018. Ma poi, nel tempo, mi sono reso conto che non si può ridurre ad un episodio l’esistenza di un essere umano. È vero, quella domenica Seb sbagliò. Ed è vero che se invece avesse consolidato il vantaggio su Hamilton, beh, forse quel mondiale avrebbe avuto un vincitore diverso. Ma importa davvero, ora che siamo qui a salutare un quattro volte iridato, uno che ha conquistato tanti Gp che solo Schumi ed Hamilton possono dire di aver fatto meglio? Uno che nella leggenda Ferrari, in termini di successi “di tappa”, è stato inferiore a pochissimi? Non credo. C’è stata, contro Vettel, una narrazione in negativo, figlia della idiozia. Lui è un gran pilota, magari non il migliore, io lo giudico un gradino sotto Hamilton, ma è un gran pilota. A farsi sì che mi immedesimassi con lui ha anche contribuito un ricordo dell’infanzia. Vettel bambino sognava di essere Schumi. Io bambino, anni Sessanta, sognavo di essere Neil Armstrong, il primo uomo a mettere piede sulla Luna. A me non hanno mai dato un Apollo 11 da depositare sulla superficie del Mare della Tranquillità. E a Seb la Ferrari, in quel momento storico, una monoposto perfetta non gliela ha mai data, al netto dell’errore di Hockenheim”.
Karin Sturm su Die Zeit scrive che se ne va perché non può più vincere e perché la Formula 1 non riesce riconciliarsi con la sua coscienza. Nina Golombek su Der Spiegel parla di fine dell’alienazione. Michael Wittershagen sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung le considera dimissioni nel nome del progresso e aggiunge: “Il 35enne Vettel, che aveva costantemente considerato i social come inutili e di conseguenza li aveva rifiutati, aveva aperto solo di recente il suo account. Dopo meno di due ore, aveva già più di un milione di followers. È solo uno dei misteri che Vettel si lascia alle spalle: cosa vorrà fare in futuro di questo seguito?”. A Philipp Schneider, sulla Suddeutsche Zeitung, pare che stia lasciando la F1 allo stesso tempo “come un gigante e come un incompiuto”.