La Dakar che non è più Dakar. Sainz senior apripista di Carlos jr in Audi

Della Dakar ha ormai soltanto il nome. Un brand che si porta in giro per il mondo. Dall’Africa al Sud America e ora là dove scorrono più denari che ovunque: in Medio Oriente. Il Raid più famoso del mondo riempie le pagine alla vigilia della partenza, poi se ne fregano quasi tutti tranne quelli che la corrono e quelli (come Toyota o Audi) che ci investono

Ottomila cinquecento chilometri in 14 tappe più un prologo. Sabato inizia la 45esima edizione del rally più famoso del mondo. Non comincia da Parigi come la prima volta nel 1979. Non arriva a Dakar come è capitato fino al 2007. Dal 2020 ha mollato anche il Sudamerica, che è stato per parecchi anni la sua seconda casa. Si è buttato, come tanto altro dal calcio alla stessa Formula 1, tra le braccia del Medio Oriente. Per la quarta volta la corsa prende il via in Arabia Saudita, dalle rive del Mar Rosso. Si va da ovest a est tra dune sabbiose, deserti isolati e aspre pietraie.

Nei 15 giorni di gara con 14 tappe in programma sono previsti anche quattro giorni di viaggio nell’ Empty Quarter, il Quarto Vuoto, il più grande deserto di sabbia al mondo che si trova nella parte più meridionale della penisola araba. . In totale sono 8.549 chilometri di cui 4.706 utili ai fini della classifica

La partenza ufficiale è il 31 dicembre con un prologo sul Mar Rosso. L’arrivo è fissato il 15 gennaio a Dammam nella zona est del Paese, sulle rive del Golfo Persico.

Sei le categorie previste: moto, quad, leggeri, auto, camion e classic. 820 i partecipanti divisi in 564 equipaggi, con 170 esordienti, 54 donne, 69 italiani e la domanda che si pongono gli amici di http://www.loslalom.it: cosa resta della Dakar dentro il nome Dakar.  La Dakar è ancora “Una sfida per quelli che partono. Un sogno per quelli che restano a casa” come disse un giorno Thierry Sabine, il suo inventore, precipitato con il suo elicottero in mali nel 1986.

Qualche racconto dai giornali stranieri (via http://www.loslalom.it):

Così, quest’anno sappiamo della svolta nel nome della sostenibilitàAs in Spagna ha scritto che se dovessimo giocare a trovare le differenze tra un camion in gara alla Dakar e un autobus urbano a Barcellona, probabilmente ne troveremmo di innumerevoli. Ma sapreste dire cosa hanno in comune? Apparentemente niente. Invece scopriamo che saranno alimentati dallo stesso idrogeno

Sappiamo che l’insaziabile Sebastian Loeb ha ottenuto le garanzie che chiedeva agli organizzatori, dopo l’attacco terroristico di un anno fa a Jeddah. Ne ha parlato con la rivista Auto Hebdo. «Sarà diverso. Durante la scorsa edizione, per la vigilia eravamo in città, ora resteremo lontani, nel nostro piccolo mondo, potenzialmente lontani dal caos. Sono state prese delle misure, saremo in un parco in mezzo al nulla, immagino sia un po’ più facile da proteggere. Ma stavamo così bene in Sud America. Il percorso era più divertente e anche l’atmosfera generale».  

Sappiamo che Lucas Cruz, copilota di Carlos Sainz [padre], ha detto al Mundo Deportivo che non immagina possa trattarsi della sua ultima Dakar. Sua, nel senso di Sainz. Potrebbe casomai capitare dopo un altro primo posto finale. «Ma anche in questo caso – ha aggiunto – tenderei a pensare che sarebbe la penultima vittoria». Poi ha riso. 

Sappiamo da Ouest France che all’età di 76 anni Jean-Pierre Strugo correrà la sua 31esima Dakar e sappiamo che in Argentina ne fanno una questione di deserto. Così il Clarin considera che Kevin Benavides può fare come Messi in Qatar e scrivere la storia. Ci fosse mai uno che scrivesse la geografia. Benavides dice che «questo clima da Coppa del Mondo influenza tutti noi che rappresentiamo l’Argentina in una manifestazione, anche la Dakar è una specie di Coppa del Mondo nella nostra specialità». 

Sappiamo che l’Italia non vince dal 2002 con Fabrizio Meoni, Erik Nicolaysen su Oa Sport sottolinea come l’assenza di Danilo Petrucci, pronto ad affrontare il suo primo Mondiale Superbike con Ducati, priva di un pilota in grado di competere ad alto livello anche contro gli specialisti del deserto

Sappiamo che dalla Germania Stern si appassiona alle vicende dell’industria di casa e si domanda: L’Audi riuscirà finalmente a vincere la maratona nel deserto o sarà di nuovo Toyota?. La Toyota di Nasser Al-Attiyah. 

La sfida di Sainz senior: apripista di Carlos jr in Audi

Su questi post parliamo spesso di Carlos Sainz jr., il ferrarista Sainz, il compagno di Leclerc. Ma tra dicembre e gennaio, mentre Carlos jr si ricarica, il palcoscenico tocca a papà Sainz. Carlos anche lui ovviamente e campione vero, due volte Campione del Mondo nel 1990 e nel 1992, vincitore di tre edizioni del Rally Dakar: a 60 anni è ancora lì nel deserto a riprovarci. E’ uno dei piloti ufficiali Audi che ha investito un sacco di solti nei raid per portare avanti il suo messaggio elettrico prima di dedicarsi (dal 2026) al Mondiale di Formula 1 (Audi ufficializza il rapporto con Sauber la’ dove c’erano Alfa e Ferrari).  Con Audi RS Q e-tron E2, il suo mostro con range extender alimentato da carburante rinnovabile, punta almeno al podio  con i suoi tre equipaggi  Mattias Ekström/Emil Bergkvist, Stéphane Peterhansel/Edouard Boulanger e Carlos Sainz/Lucas Cruz.

Carlos Senior fa anche da apripista per sui figlio in Audi. Se le cose in Ferrari non dovessero andare come con Binotto, ecco pronta la via di fuga verso il Team Audi che da gola a molti dei giovani rampolli in cerca di gloria in Formula 1 perché Audi solitamente vince là dove va a correre.

La RS Q e-tron E2 ha introdotto fino dal 2022, un concept tecnico rivoluzionario nei rally raid. E’ dotata di tre powertrain elettrici: due MGU (Motor Generator Unit), una in corrispondenza di ciascun assale, si occupano della trazione, mentre una terza unità agisce quale generatore per contribuire alla ricarica della batteria ad alto voltaggio. Non essendo possibile attingere energia nel deserto, Audi ha optato per una soluzione on board: l’accumulatore viene rifornito durante la marcia grazie all’azione di un range extender. Funzione, quest’ultima, affidata al performante quattro cilindri TFSI – turbo a iniezione diretta della benzina – di derivazione DTM, il Campionato Tedesco Turismo. 2.0 TFSI che, per la prima volta, è alimentato mediante un carburante rinnovabile a base di residui vegetali privi d’impatto sulla filiera alimentare, grazie al quale si riducono del 60% le emissioni di anidride carbonica rispetto all’utilizzo di un combustibile da competizione tradizionale.

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umberto zapelloni

Nel 1984 entro a il Giornale di Montanelli dove dal 1988 mi occupo essenzalmente di motori. Nel gennaio 2001 sono passato al Corriere della Sera dove poi sono diventato responsabile dello Sport e dei motori. Dal marzo 2006 all'aprile 2018 sono stato vicedirettore de La Gazzetta dello Sport

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