Rassegna stampa: Verstappen, Sainz e … Montezemolo

Rassegna stampa dal Belgio aspettando un Gp che potrebbe divertirci davvero tanto. Tra Max lo spaventa Ferrari e la pole di Sainz si inserisce sul Corsera a firma Aldo Cazzullo una lunga intervista a Luca di Montezemolo (ovviamente non solo motoristica).

 Stefano Mancini su La Stampa scrive che la competizione sul circuito di Spa raddoppia, quasi a compensare quei tre giri che l’anno scorso segnarono la gara più breve e assurda di sempre. Due piloti davanti a dettare il ritmo, gli altri due a districarsi in mezzo al traffico, con tutto quello che può comportare. Spa e Zandvort domenica prossima sono i circuiti di casa di Max, mentre Monza rappresenterà un momento ancora più caldo, il confronto sul terreno della Ferrari prima di abbandonare l’Europa per la volata finale. Verstappen punta alla vittoria, glielo si legge negli occhi. La tripletta Belgio, Olanda e Italia potrebbe chiudere in anticipo i conti con la Ferrari. Oppure riaprire la partita perché, dietro ai mugugni di Leclerc e alle rassicurazioni del team principal Binotto, il campionato non è ancora chiuso. Si favoleggia di un fondo vettura alleggerito di sei chili che regalerebbe un altro, decisivo passo avanti alla Red Bull.  Il duello si alimenta anche di misteri”.

Giorgio Terruzzi sul Corriere della seraCertezze e contraddizioni per una gara che pare un rebus. C’è Sainz in pole davanti a Perez che guida una Red Bull mai così veloce rispetto alla Ferrari in qualifica. Il che vale come una sconfitta per mister Horner visto che entrambi i piloti si rifiutano a giorni alterni di dare una scia all’altro, al contrario di quanto accade in casa Ferrari, ancora una volta capace di fare squadra quando serve. È probabile che Perez, infelice il sabato, più concreto in gara, possa passare e tentare la fuga oggi. La verifica diventa importante per capire se sino a che punto si tratta di un salto in avanti Red Bull occasionale. In ogni caso, molte cose si capiranno nei primi giri, se non nei primi metri. Siamo su una pista che prevede una curva a gomito immediatamente dopo il semaforo, luogo che ha tritato ali, musi, sospensioni e ambizioni ad una quantità di piloti, scattati a centrogruppo.

Montezemolo al Corsera tra Agnelli, Ferrari, Marchionne ed Elkann

Come conobbe Enzo Ferrari?
«Quando nel ’68 le università erano occupate, Cristiano e io ne approfittammo per correre i rally. Eravamo bravini, fui preso dalla Lancia. Un giorno ero ospite in radio: “Chiamate Roma 3131”, condotta da Boncompagni. Chiamò un ragazzo per dire che l’automobilismo era uno sport per ricchi; io risposi che non era vero, che Bandini era figlio di un meccanico… Il caso volle che Ferrari stesse ascoltando. Telefonò:
“Lei ragazzo ha gli attributi, venga a trovarmi”».
E lei?
«Io mi ero laureato in giurisprudenza e volevo fare l’avvocato penalista. Ero entrato nel carcere
di Porto Azzurro per intervistare Fenaroli, quello del delitto. Poi avevo vinto una borsa di
studio alla Columbia. Ma nei primi giorni del gennaio 1973 andai a trovare Enzo Ferrari; e lui
mi chiese di fargli da assistente. I miei ci rimasero malissimo: “Ti metti a giocare con le macchinine?”».
Di Ferrari raccontano fosse un uomo molto duro.
«Aveva le sue manie: non è mai venuto a Roma in vita sua, non ha mai preso un aereo o un
ascensore, quando cedette la Ferrari all’Avvocato la firma si fece al pianterreno di corso
Marconi. Ma era un uomo straordinario. Mi ha insegnato due cose: non arrendersi quando le
cose vanno male; chiedere sempre di più, a se stessi e ai collaboratori, quando le cose vanno
bene. Aveva un talento naturale per il marketing: il cavallino di Baracca, le auto tutte rosse,
l’accortezza di far aspettare anche se la macchina era pronta. Ogni tanto arrivava in treno
da Roma il decano dei concessionari, e ripartiva con l’auto per il cliente. Era Vincenzo Malagò,
il papà di Giovanni; una volta andò via con una Rossa per Mastroianni. La Ferrari per Enzo
era come una donna bellissima, che si fa desiderare».
Ma non vinceva da tempo.
«Luglio 1973, Brands Hatch, il mio primo Gran Premio. Qualifiche: Jacky Ickx sedicesimo, Arturo Merzario diciottesimo. Telefona Ferrari: “Ci ritiriamo. Caricate le macchine sui camion e tornate a casa”».
E lei?
«Lo convinsi a correre. Ma poi ci fermammo davvero, per due gare. Cominciò la ricostruzione.
Ci consigliarono Jean-Pierre Jarier, ma io volevo prendere Niki Lauda, che aveva fatto
bene con la Brm. Mi sparò una cifra in scellini austriaci, dovetti andare in edicola a comprare
il giornale per sapere quanto chiedesse…».
Nei quattro anni successivi, Niki Lauda vinse due Mondiali, ne perse altri due all’ultima
corsa, e rischiò di morire bruciato.

«Dopo il rogo del Nurburgring andai in clinica a parlare con il medico. Mi disse che la
notte sarebbe stata decisiva: bisognava tenerlo sveglio, perché aveva respirato gas velenosi, e
doveva muovere i polmoni. Niki sentì tutto. E restò sveglio. Quaranta giorni dopo era già in
pista a Monza. Quando indossò il casco si riaprirono le ferite, grondava sangue».
Ma al Fuji, in Giappone, sotto la pioggia, si ritirò.
«Forghieri gli propose: diciamo che hai un problema alla macchina. Replicò: no, diciamo
la verità; correre in queste condizioni è una follia».
L’anno prima Lauda aveva vinto il Mondiale proprio a Monza.
«Era il 7 settembre 1975: uno dei due giorni più belli della mia vita, a parte quando sono
nati i miei cinque figli. Clay Regazzoni vince il Gran Premio d’Italia, e Lauda è campione del
mondo. Telefono a Enzo Ferrari, e intuisco che è commosso. Non l’avevo mai sentito piangere».
E l’altro giorno più bello?
«8 ottobre 2000. Michael Schumacher sta per conquistare il titolo dopo ventun anni.
L’Avvocato mi telefona quando mancano due giri alla fine: “È fatta, grazie, grazie…”. Io sono
superstizioso, e gli dico: “Avvocato, aspettiamo…”. Ma sento che lui, come Ferrari, è commosso».
Anche l’Avvocato non l’aveva mai sentito piangere?
«Una volta, a Roma, all’ultimo concerto di Frank Sinatra, ebbi l’impressione che si fosse
emozionato, ascoltando My way».
Com’era l’Avvocato?
«Diverso da come lo raccontano. Ad esempio era molto italiano».

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umberto zapelloni

Nel 1984 entro a il Giornale di Montanelli dove dal 1988 mi occupo essenzalmente di motori. Nel gennaio 2001 sono passato al Corriere della Sera dove poi sono diventato responsabile dello Sport e dei motori. Dal marzo 2006 all'aprile 2018 sono stato vicedirettore de La Gazzetta dello Sport

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