Il documentario su Jackie Stewart trasmesso in questi giorni su Sky Documentaries vale la pena di essere visto. È stato poco pubblicizzato ma è una vera chicca per chi ama la Formula1 e i suoi eroi.

Quella di Jackie Stewart, 84 anni l’11 giugno, è una storia straordinaria che parla di sport, amore, amicizia, dolore. Ci sono tutti gli ingredienti per un grande film hollywoodiano solo che qui è tutto vero. Nella dolcezza del suo rapporto con la moglie Helen sosata nel 1962. Nella crudezza dei suoi dolori quando vede morire uno dopo l’altro i suoi migliori amici, prima Jochen Rindt e Roger Williamson poi Francois Cevert probabilmente il pilota più bello e affascinante della storia, il suo erede designato, suo ultimo compagno. “Con Francois avevamo parlato spesso della vita oltre la morte – racconta Helen Stewart – e ci eravamo ripromessi che il primoi di noi che fosse morto, sarebbe tornato a raccontare quello che c’era la di là. Lui lo ha fatto. E ora io so che c’è vita oltre la morte”
Il docufilm è ben costruito su immagini originali e interviste dell’epoca. Racconta la storia del ragazzino che a 15 anni lascia la scuola credendo di essere stupido perché non riesce a leggere e scrivere (solo a 43 anni gli diagnosticheranno la dislessia grave) e che poi grazie a un cliente dell’ officina di papà comincia a correre, vincendo già la sua seconda gara in Scozia.
Ci vuole poco perché Ken Tyrrell lo noti convocandolo per un test a Donington: “Dopo cinque giri i primi mai fatti su una Formula 1 era già più veloce del record di Bruce McLaren”. Da lì è’ cominciata una carriera che lo ha portato a tre mondiali in 99 gran premi, uno prima del centesimo che sarebbe stato l’ultimo ma che non arrivò mai perché dopo aver visto motore il suo amico Cevert in uno degli incidenti più cruenti della storia, decise di mollare tutto immediatamente.
Stewart è il sopravvissuto di una Formula1 che negli anni Sessanta e Settanta vedeva morire tutti i suoi grandi attori anno dopo anno. Era uno sport pericoloso. Senza cellule di sopravvivenza. Con auto che si sbriciolavano. Con il fuoco. Con guardrail che diventavano ghigliottine. Jackie ha lavorato tanto per la sicurezza. Tantissimo e forse questo è un aspetto che manca nel documentario che racconta invece benissimo il suo amore con la moglie sposata più di sessant’anni fa e per la quale oggi Jackie lotta come un leone per raccogliere fondi per la ricerca per battere la demenza senile.
Ci sono immagini in cui si vede come Jackie spiega a meccanici e ingegneri che cosa non funzioni nella sua auto. Lui in sapeva scrivere una frase ma sapeva spiegare le cose come un’enciclopedia. Il suo segreto raccontano i suoi colleghi era di mettere a punto la macchina in modo che poi in gara disse semplicissima da guidare. Lui poi andava veloce. Tanto veloce. Il suo record di 27 vittorie in 99 gare racconta tanto anche dal punto di vista aritmetico.
E’ tenero sentire il racconto del figlio Paul (poi con lui alla Stewart Racing) chiedere a mamma: quando morirà papà? Perché i miei compagni a scuola dicono che i piloti muoiono tutti.
Jackie è un sopravvissuto è ancora oggi è testimonial prezioso per molti brand in Formula 1 (Rolex, Ford. Heineken). Racconta cose che per lui sono storie di vita vissuta per noi solo pagine di qualche libri. E’ una leggenda vivente.
Guardate questo docufilm perché ne vale davvero la pena. E’ fatto bene. E ad un certo punto a Monza compare pure Enzo Ferrari…