Una preghiera per Jason. Ma continuare a correre ha un senso…

Jason Dupasquier si è spento questa mattina all’ospedale di Firenze dopo essere stato investito involontariamente da Ayumu Sasaki e Jeremi Alcoba in seguito alla sua caduta all’Arrabbiata 2 durante le qualifiche della Moto3 del Gran Premio d’Italia al Mugello. Aveva 19 anni.

Una preghiera per Jason e una domanda: è giusto continuare con le gare dopo che è arrivata una notizia del genere?

La risposta più semplice in questi casi è sempre: anche Jason avrebbe voluto così. Che non è a parer mio una risposta che si allontana molto dalla realtà.

Jason è morto mentre inseguiva il suo sogno, non per un guasto, ma per una fatalità. Quante cadute vediamo ogni volta che si corre un gp di moto? E quante volte capita che finisca così, con un pilota incolpevole che ne investe un altro. Fortunatamente non capita spesso, m sappiano tutti che in moto il 100% della sicurezza no potrà esistere anche oggi che le piste non hanno più circoli assassini e i piloti indossano gli airbag. La testa, il collo, resteranno sempre scoperti. Non c’è possibilità di metterli al riparo. È lo stesso rischio che corrono i ciclisti o i discesisti nello sci. Ci sono sport che non potranno mai essere sicuri del tutto anche con gli innegabili progressi degli ultimi anni.

Chi entra in autodromo ha scritto sull’pass motorsport is dangerous. Lo è ancora di più per i protagonisti. Jason sapeva i rischi che correva. Come il povero Sic, come Salon, come Kato o Tomizawa per citare le ultime vittime in pista.

Non trovo sbagliato continuare lo show visto che la pista non ha colpe. Il modo migliore per ricordare Jason è davvero correre per lui è dedicargli le gare. Eviterei lo champagne, questo sì. E troppe feste. Ma davvero il modo migliore per onorare la memoria di un ragazzo che amava le moto e le corse è andare avanti con le gare. Per lui. Per tutti noi.

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umberto zapelloni

Nel 1984 entro a il Giornale di Montanelli dove dal 1988 mi occupo essenzalmente di motori. Nel gennaio 2001 sono passato al Corriere della Sera dove poi sono diventato responsabile dello Sport e dei motori. Dal marzo 2006 all'aprile 2018 sono stato vicedirettore de La Gazzetta dello Sport

2 commenti

  1. Avevo 13 anni quando morirono Pasolini e Saarinen a Monza. Ricordo scrissi un tema dove mi scagliai contro questo sport che allora definii inutile. Oggi, sicuramente, non lo vedrei così. Oggi sò che la moto GP come la F1 sono anche campi prova di soluzioni che, spesso, arrivano ad equipaggiare le moto e le vetture che utilizziamo tutti i giorni. Certo, la perdita umana non è giustificabile per lo sviluppo tecnico, però in tutti i campi accade così. Ci sono collaudatori aeronautici deceduti per sviluppare nuovi aerei, astronauti deceduti per consentire la corsa alla luna, ieri, a Marte oggi. Sicuramente anche in medicina ci saranno eroi di questo tipo. Anche la giustificazione che i piloti, a volte, muoiono facendo ciò che piace a loro, è valida. Ho visto un’intervista a Pasolini dove diceva che sapere che qualcuno è morto in moto non gli avrebbe fatto modificare la sua visione di pilota.Lui, diceva, era convinto che quando è ora di morire, accade…

  2. […] Da Repubblica, il Giornale e Qn tre articoli interessanti sul dibattito di cui parliamo qui da domenica. https://topspeedblog.it/una-preghiera-per-jason-ma-continuare-a-correre-ha-un-senso/ […]

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