Prost a l’Equipe: “Senza di me Senna si sentiva perso”

Alain Prost è passato in redazione a L‘Équipe per un’intervista con domande riservate a 12 abbonati del quotidiano, un’operazione che il quotidiano chiama “il gioco della verità”. Le domande più gettonate sono quelle sulla rivalità con Ayrton Senna, la differenza tra lo stile di vita di un pilota d’allora e oggi, la sua esperienza da manager alla Peugeot, durata cinque stagioni, un’ottantina di GP e tre podi. 

«Con Senna ho parlato tantissimo dal giorno dopo il mio ritiro. Ho capito che non stava bene. Mi chiamava spesso. Due volte a settimana. Non mi aveva mai telefonato mentre ancora correvo. Senza di me aveva perso l’orientamento. Probabilmente ero la sua fonte di motivazione». 

Già in passato aveva raccontato in varie occasioni: «Non ho brutti ricordi legati ad Ayrton nelle mia mente. Voglio ricordare soprattutto gli ultimi sei mesi della sua vita, che sono stati quelli in cui ho avuto modo di conoscere meglio Ayrton. Era una persona diversa, che mi ha permesso di capire chi fosse e perché ha agito in determinate maniere in alcuni casi».

«Guardando oggi al suo atteggiamento quando eravamo rivali, lo prendo come un complimento da parte sua. Ho capito che la sue attenzioni erano rivolte a me e che la sua unica motivazione era capire come battermi. Ecco perché quando eravamo sul podio in Australia, nel 1993, ed era la mia ultima gara, dopo pochi secondi era già una persona diversa. Questo è il ricordo più bello che porto con me oggi».

«Dei tuoi quattro titoli, quale ti ha segnato di più?  Indiscutibilmente quella del 1986. Perché è la più pura. Non stavamo iniziando i favoriti con la McLaren MP4/2C. Questa vettura era inferiore alle Williams Honda di Nigel Mansell e Nelson Piquet. Il nostro motore Porsche, finanziato da TAG, non era potente come il loro. Abbiamo vinto perché la nostra squadra era coerente, unita e perché tra noi c’era un’atmosfera fantastica».

«Fare il pilota non è più lo stesso lavoro. Quando vedo tutti questi schermi e tutto ciò che viene chiesto loro, penso che non c’entra niente. Ai miei tempi, il pilota aveva il controllo della macchina e faceva sapere ai tecnici come andava. Oggi è il contrario. Sono gli ingegneri che danno informazioni al pilota, che si tratti di pneumatici, motore, telaio, aerodinamica, freni. Noi avevamo cinque persone intorno, oggi ogni pilota ne ha trenta. È tutto più segmentato. È complicato avere una visione globale dell’auto. Non mi piacerebbe vivere un’esperienza di guida del genere. Guadagnano di più e corrono meno rischi (scherzando)». 

«Ho firmato con Peugeot – dice Prost – e tre mesi dopo hanno annunciato il ritorno ai rally, che è il loro DNA. Non hanno investito nulla. Un anno abbiamo rotto 45 volte il motore. A questo si aggiungono cinque verifiche fiscali in cinque anni. Avevamo il fisco sulle spalle ogni cinque minuti. Jacques Chirac, allora presidente della Repubblica, si era impegnato a sostenerci, tre mesi dopo fu sciolta l’Assemblea nazionale. E … scioglimento anche delle promesse. Rimarrà la peggiore esperienza della mia vita. Avevo a busta paga 190 dipendenti e spendevo un poco più di Ron Dennis alla McLaren con 450 persone». 

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umberto zapelloni

Nel 1984 entro a il Giornale di Montanelli dove dal 1988 mi occupo essenzalmente di motori. Nel gennaio 2001 sono passato al Corriere della Sera dove poi sono diventato responsabile dello Sport e dei motori. Dal marzo 2006 all'aprile 2018 sono stato vicedirettore de La Gazzetta dello Sport

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